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Opere ferme tra mille difficoltà

Un «preavviso di sfiducia»; è quello che i costruttori siciliani, con un'espressione dal vago sapore politichese, hanno inviato al Governo regionale ed alle Forze politiche che lo sostengono. Al di là dei leziosismi dialettici, la denuncia dei costruttori resta comunque dura nei toni e, drammaticamente, ancor più nei contenuti. Del resto in una terra come la Sicilia, nella quale l'apporto occupazionale dell'industria è stato sempre marginale, l'edilizia ha rappresentato, per tradizione consolidata, il principale bacino di occupazione. Lo conferma anche il confronto con il resto del Paese, dove per ogni occupato nelle costruzioni si contano tre occupati nell'industria, mentre in Sicilia il rapporto è appena di uno ad uno. Gli effetti della crisi si scaricano in prima battuta sul lavoro. Alla fine del 2007 le costruzioni in Sicilia contavano 158 mila addetti, mentre a settembre di quest'anno si sono ridotti a 130 mila.
E le prospettive? Nere, solo che si consideri il dirottamento dei fondi europei dal finanziamento di 29 opere già cantierabili in Sicilia, per un terzo verso regioni del centro nord e per due terzi verso quattro grandi opere: il Ponte sullo Stretto e tre assi viari regionali. La denuncia dei costruttori siciliani, con allegata una promessa di «lotta dura», ha sortito la convocazione di un tavolo regionale. Nelle more di verificare che l'ennesimo tavolo porti a qualche risultato tangibile, si possono formulare alcune semplici considerazioni. In primo luogo va rimarcato che i quattro grandi cantieri finanziati in Sicilia sono stati aggiudicati ad imprese non locali. Ciò comporta una sostanziale neutralità per la mano d'opera locale, ma una perdita secca per le casse pubbliche. Quando infatti gli appalti sono aggiudicati ad imprese locali, queste versano l'Iva alla Regione Siciliana; cosa che ovviamente non accade con imprese di altre regioni che versano l'Iva laddove hanno sede legale. Su un ammontare di risorse disponibili di circa 4 miliardi di lire, è agevole quantificare il mancato introito di alcune centinaia di milioni di euro, che a loro volta avrebbero potuto essere reinvestiti localmente. La seconda considerazione riguarda la scelta del governo nazionale di «riscrivere» la destinazione dei fondi europei; a questo proposito, per quanto la scelta possa risultare sgradita, non si può tacere che siamo comunque in presenza di risorse non spese. Insomma, a quasi quattro anni dalla disponibilità dei fondi europei, il loro ritardato impiego ha dato il «là» alla manovra correttiva del governo nazionale. Resta infine il problema tragicomico dei tempi di realizzazione di una qualsiasi opera pubblica; se nella media italiana si tratta quasi sempre di tempi lunghissimi, in Sicilia risultano a dir poco biblici. Nel 2007, ha calcolato una recente indagine della Banca d'Italia, i tempi medi per progettare un'opera pubblica, per l'approvazione del relativo progetto, la pubblicazione del bando, la presentazione delle offerte e l'aggiudicazione definitiva, sono stati pari a circa 600 giorni in Lombardia ed a circa 1.600 giorni in Sicilia. Ed ancora non abbiamo messo «mano a ferri» e cioè alla costruzione vera e propria! La Corte dei Conti parla di assenza della «cultura della programmazione e del monitoraggio». Ma forse ci manca qualche cosa di più.
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