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L'università da rimettere a nuovo

La mappa dei poteri, nel mondo contemporaneo, sta cambiando. Un grande mutamento nella continua evoluzione della storia. Cina, Corea, Singapore, India, Brasile stanno per superare le vecchie potenze, definite «triade»: Stati Uniti, Unione Europea e Giappone. Al contempo crescono anche le cosiddette «economie di transizione», come Russia e altri Paesi dell'Europa centrale e orientale. Tutto ciò è dovuto alla scienza e alla ricerca. In questo contesto l'Italia si colloca nelle retrovie. In precedenti editoriali sul nostro giornale abbiamo riportato i magri dati numerici e quantitativi di questa area vitale per i cittadini. In linea generale, nel settore della ricerca scientifica, v'è poca trasparenza e marcato sottofinanziamento, con meccanismi di attribuzione in gran parte discrezionali e, talora, clientelari elargiti anche senza bando. Talenti sacrificati, economia ferma, Paese immobile. Eppure la nostra Patria è ricchissima di miniere di «oro grigio», di intelligenze. È una delle nostre poche ricchezze, che non abbiamo né potuto, né voluto sfruttare a pieno. Si aggiunge il predominio di una burocrazia che soffoca e rende inerti per gli innumerevoli vincoli e garbugli. Tempi spesi in carte bollate e sottratti alla sperimentazione. Da noi trascorrono 24 mesi per l'approvazione di una pratica o l'erogazione di un finanziamento, contro i 90 giorni dei più avanzati Paesi europei.
La «fuga» dei cervelli
I ricercatori, inoltre, operano tra diffidenza e scetticismo, in un tessuto civile insensibile se non ostile, che non riesce a comprendere come l'innovazione sia una grande struttura immateriale. Per questo i «cervelli» fuggono e, soprattutto, non ritornano. Si impone una profonda riflessione strategica di lungo respiro e non dettata da logiche contingenti vacue o stucchevoli.
È necessario cambiare il modo di ragionare. La politica deve comprendere il valore economico - vale a dire occupazione e lavoro - della scienza e la necessità del suo intersecarsi con la società. Il rapporto tra scienza e società assume i connotati di una questione chiave non solo per la nostra sopravvivenza, ma anche per divenire protagonisti del futuro. La ricerca scientifica come cultura da diffondere, per accrescerne i «consumi». Una grande alleanza tra scienza e politica.

Le nuove frontiere della scienza
Mentre il dibattito assume una valenza quasi esclusivamente sindacale - piani di rientro, mobilità, progressioni di carriera, scatti di anzianità - siamo alle soglie di una nuova rivoluzione tecnico-scientifica, che si accinge ad esplorare le possibilità di nuovi paradigmi, attraverso macro impulsi. Dall'energia, all'ambiente, nanostrutture, ciberspazio, nuovi materiali, biotecnologie, medicina predittiva e personalizzata: queste due ultime da condurre vivificando l'approccio traslazionale, cioè il trasferimento dalla ricerca di base al letto del paziente. Tali frontiere saranno valicate dal «capitale delle conoscenze», purchè vi siano: merito, libertà, trasparenza, valutazione. La partita si gioca sulle eccellenze. Una enorme responsabilità grava sull'attuale classe dirigente.
La riforma Gelmini
A questi scenari si aggiunge l'iter tormentato della legge di riforma sull'università, uno dei centri fondamentali della ricerca. Riforma pur perfettibile che martedì ritorna al Senato per una rapida approvazione, come previsto. L'auspicio è che non si impantani, avviandosi verso il porto delle nebbie. Il nostro sistema accademico, per dirla con Leopardi, è un tronco che sente e pena. Un albero sempre più spoglio, che tende ad avvizzire. Da 50 anni manca in Italia una legge organica sul mondo degli atenei. Giovanni Sartori - famoso politologo e intellettuale - non certo sospetto di simpatie per l'attuale governo, ha scritto (Corriere della Sera, sabato 11 dicembre 2010) che «la riforma Gelmini non è una cattiva riforma. Ed è una riforma necessaria... I giovani di oggi che si battono contro la riforma universitaria Gelmini si battono a proprio danno e per il proprio male». È riprovevole che legittime critiche e proteste siano degenerate in una «macchina della violenza», con incendi, barricate, distruzioni, scontri e feriti anche tra le forze dell'ordine, assalto a sportelli bancari. Vera e propria guerriglia - travestita da manifestazione democratica di dissenso - che colpisce le sedi istituzionali, con assalti ai palazzi del Parlamento, luoghi simbolo della democrazia.
Il «nodo» Sicilia
Il ruolo della ricerca, nel mondo contemporaneo è preminente. È auspicabile che ciò avvenga anche in Sicilia. Il documento «Europa 2020», invita le regioni a divenire motori dell'innovazione e della crescita, svolgendo un ruolo rilevante nel sistema di governance.
Solo costruendo una intensa e continua collaborazione tra istituzioni ed enti diversi, creando «massa critica», si può navigare e avanzare nei flutti procellosi del grande oceano della ricerca. È improrogabile essere più competitivi nel mercato globale della scienza, per non trasformarsi in fruitori passivi di patrimoni di ricerca scientifica derivanti da sistemi esterni all'Italia. La strategia europea individua come priorità un motore della crescita, con tre propulsori: crescita intelligente per lo sviluppo di economia fondata sulla conoscenza; crescita sostenibile per promuovere economie più efficienti e competitive; crescita inclusiva per realizzare occupazione e coesione sociale.
La Regione può dedicare ai centri scientifici e di ricerca strutture amministrative dedicate, azioni di valorizzazione e trasferimento verso l'esterno, competenze di tipo legale, economico, tecnologico, di marketing e management - delle quali la comunità scientifica è spesso totalmente carente - anche al fine di acquisire risorse esterne in grado di compensare la riduzione dei finanziamenti pubblici, coordinando aggiuntivamente una anagrafe della ricerca siciliana. Pur con alcune riserve, la Sicilia deve dotarsi di coraggio per affrontare partnership e convergenze al fine di definire gli obiettivi prioritari di spesa, sulla base di idee-forza. Questo orizzonte è capace di contribuire alla crescita dell'economia e dei saperi, con trasferimento di competenze e innovazione nel territorio e nell'area geografica di riferimento. In tale cornice il governo regionale può incitare, sostenere e presidiare i centri decisionali della politica scientifica e tecnologica, creando ponti con le imprese, attraverso l'istituzione di un assessorato per la ricerca e l'innovazione. Una politica alta e audace. La nostra Isola protagonista di un neo meridionalismo operoso, progettuale e innovativo. Un canone siciliano per lo sviluppo. Abbiamo l'obbligo di non tradire le giovani generazioni con una svendita del futuro.

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