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Wikileaks, l'arresto negoziato di Assange

L’arresto «negoziato» di Julian Assange da parte di Scotland Yard non mette certamente la parola fine alla tormentata vicenda di Wikileaks. Il mandato di cattura internazionale per stupro sulla base del quale la polizia britannica ha agito ha infatti poco o nulla a che vedere con la sua attività di pirata informatico e - stando a indiscrezioni - non ha neppure molta fondatezza: le due donne che lo hanno denunciato avrebbero infatti ammesso che all'inizio erano consenzienti al rapporto, ma si sono «ribellate» soltanto quando Assange ha rifiutato in un caso di utilizzare il preservativo e nell'altro di tirarsi indietro quando questo si è rotto. Se, nonostante la fragilità dell'imputazione, e il rifiuto del giornalista australiano ad accettare l'estradizione verso la Svezia, il tribunale londinese gli ha rifiutato la libertà provvisoria contro cauzione che i suoi avvocati avevano richiesto, vuol dire che gli Stati Uniti stanno preparando altre e più consistenti azioni contro di lui per gli immensi danni che sta loro procurando. Ma sul piano giuridico l'operazione non sarà facile, perché non è stato lui a svuotare gli archivi informatici del Dipartimento di Stato e - al massimo - potrebbe essere imputato di ricettazione di materiale rubato. Quanto alla pubblicazione in sé, risulta difficilmente perseguibile in un tribunale, perché metterebbe in discussione la libertà di informazione, ancora più sacra in America che in Europa.
In attesa del 14 settembre, quando è fissata una nuova udienza, dobbiamo cioè attenderci un braccio di ferro «sotterraneo» tra Assange e la sua organizzazione e l'amministrazione Obama, che nella circostanza ha il sostegno di buona parte della comunità internazionale, che sta a sua volta subendo i contraccolpi della fuga di notizie. Il titolare di Wikileaks si è premurato di fare sapere che, qualunque cosa gli accada, la pubblicazione dei 250 mila messaggi sottratti continuerà, perché ben 100.000 persone in giro per il mondo sono state messe in condizione di avvalersene e comunque l'intero malloppo è già in possesso di cinque grandi giornali internazionali. Dato che, fino adesso, è stato reso noto meno di un centesimo del materiale rubato, è probabile che Assange sia in possesso di documenti ancora più compromettenti per gli Stati Uniti di quelli già messi in piazza. Pertanto, è da supporre che egli sia in grado di trattare con Washington anche da una cella londinese. C'è, per esempio, chi ritiene che la pubblicazione, ieri, dell'elenco degli impianti industriali e delle basi militari sparsi per il mondo che l'America considera «strategici» e necessari di una speciale protezione, anche al di là della giurisdizione dei Paesi che li ospitano, rappresenti una specie di monito all'amministrazione Obama: la lista, infatti, sembra quasi un supporto per i terroristi di Al Qaeda alla perenne ricerca di obbiettivi sensibili.
L'affare rischia quindi di rimanere in primo piano ancora per parecchio tempo, con i media mondiali alla caccia di nuovi scoop: gli ultimi riguardano i dispacci che documentano il clamoroso fallimento dei tentativi di Obama di indurre la Siria a staccarsi dall'Iran e a sospendere le forniture di armi all'Hezbollah e la esistenza di un piano segreto della Nato, messo a punto dopo il conflitto tra Russia e Georgia per difendere i Paesi baltici da una possibile aggressione di Mosca: abbastanza per creare altre tensioni e mettere altri ostacoli alla politica americana.
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