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La vedova Raciti: il derby doveva tornare, è giusto così

Marisa Grasso: “Mi auguro che sia una partita di pace, vorrebbe dire che il sacrificio di mio marito non è stato vano”

PALERMO. «Prima o poi doveva succedere che si riaprissero le porte anche ai tifosi ospiti, mi auguro almeno che sia un derby di pace e che prima della partita si ricordi mio marito con un minuto di silenzio». Queste l'appello di Marisa Grasso, moglie di Filippo Raciti, il poliziotto ucciso quella tragica sera del 2 febbraio 2007 negli scontri fuori dal Massimino tra le forze dell'ordine e gli ultrà del Catania. Da allora il derby tra le due siciliane si è sempre giocato senza i tifosi ospiti. Domenica, dopo quasi tre anni, è stata data la possibilità anche ai tifosi catanesi (a condizione che abbiano sottoscritto la tessera del tifoso) di giungere a Palermo per assistere al derby.

All'indomani della tragedia si era detto mai più derby con le due tifoserie. Come giudica quest'apertura?
«M'aspettavo che prima o poi le due tifoserie si rincontrassero. E mi sembra pure una decisione giusta. Mi auguro che sia un derby di pace, vorrebbe dire che il sacrificio di mio marito non è stato vano. Sarebbe anche corretto che Filippo venisse ricordato con un minuto di silenzio prima dell'incontro. Ai tifosi sarà data una seconda opportunità, lui invece purtroppo non l'ha avuta».

Dopo quel maledetto derby sono stati presi diversi provvedimenti contro il tifo violento. Uno su tutti la tessera del tifoso...
«Sono contenta perché la tessera è un elemento in più che assicura sicurezza ai tifosi e alla gente che sta attorno allo stadio. Le misure prese le ho viste positivamente, vuol dire che la morte di mio marito ha portato a una riflessione. Prima invece sembrava quasi che gli episodi di violenza fossero normali, che appartenessero al mondo del calcio».

Riesce a dissociare il connubio tifo-violenza?
«Da allora mi sono fatta tante domanda e data diverse risposte. Penso che la gentaglia sta ovunque e che non tutti i tifosi sono violenti. Attorno al calcio girano alcuni delinquenti e bisogna avere il coraggio di estirparli».

Lei ha due figli (una ragazza di 19 anni e un bambino di 12, ndr), come reagirà quando le chiederanno di poter andare allo stadio?
«Due settimane fa mio figlio mi ha chiesto di andare allo stadio con i suoi amichetti, ma ad Acireale, non al Massimino. Ho avuto un sussulto ma alla fine è andato. Lui ha vissuto rivedendo in tv i momenti della morte di suo padre, ha sofferto tanto ma penso che non bisogna vivere avendo paura di vivere».

Che rapporto hanno col calcio, tifano per il Catania?
«Mia figlia per nessuno perché gioca a pallavolo, invece il piccolo è tornato a giocarci e fa il portiere. La cosa triste è che non può tifare per il Catania pur essendo la squadra della sua città. Quando gli etnei sono stati promossi in serie A il padre gli comprò una bandiera che sta ancora appesa nella stanza di mio marito. Ma al piccolo quella squadra evoca solo brutti ricordi».

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