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La morte silenziosa del cristianesimo in Iraq

Il cristianesimo muore in Iraq tra i deboli lamenti del mondo cosiddetto civile, mentre viene annientato in Turchia, perseguitato in Pakistan, in India, in Nigeria, proibito in Arabia Saudita, in Iran, in Malaysia, in Indonesia e l'elenco non finisce qui.
Perché tanto odio contro i credenti in Cristo e perché tanta insensibilità nel prendere le loro difese? Rispondiamo al quesito più facile, il secondo: le tiepide o nulle reazioni ai massacri di Bagdad, alle chiese dinamitate, alle decine di uccisi mentre pregano ai piedi del Crocifisso è il frutto di una malintesa politica dell'appeasement, del «volemose bene ad ogni costo», della neutralità tra le religioni senza badare alla carica di violenza che una di esse porta nelle sue frange estreme. Chi, a Londra, a Parigi, a Berlino, a Washington ed anche a Roma, chi ha alzato la voce per denunciare l'offensiva terroristica che ha come bersaglio i templi cristiani e i loro fedeli? Chi ha invocato misure internazionali per proteggerli e per stroncare l'offensiva ormai dilagante? Chi, nel mondo politico internazionale, tranne la flebilissima e tardiva condanna dell'Onu, ha raccolto il lamento disperato dell'arcivescovo siro-cattolico di Bagdad, monsignor Matti Shaba Matoka il quale grida instancabile e coraggioso: «Vogliono cacciarci via, e ci stanno riuscendo».
In sette anni i cristiani iracheni sono crollati da circa un milione e mezzo, su una popolazione totale di circa 30 milioni di persone a meno di 850 mila, di cui 400 mila cattolici, in gran parte appartenenti alla Chiesa caldea e siriaca (i cattolici erano più del doppio e ora sono riparati all'estero o profughi nascosti all'interno del paese.) A Bagdad erano 250 mila e sono oggi 100-150 mila pronti alla fuga, sospinti dalla caccia all'uomo che i sicari di Al Qaeda danno loro quartiere per quartiere, chiesa per chiesa, casa per casa. L'invito sconsolato rivolto dall'arcivescovo ortodosso Athanasios Dawood ai fedeli, di espatriare al più presto prima che le bombe li uccidano tutti, è il segno di una resa: i cristiani sono soli e indifesi.
Queste esortazioni a mettersi in salvo non sono piaciute al primo ministro iracheno Al Maliki, che sta cercando la quadratura del cerchio d'un governo di unità nazionale, imbarcando tutti, sunniti, sciiti, curdi e quel che rimane della un tempo fiorente comunità cristiana. Al Maliki la vorrebbe trattenere ma che cosa fa la sua polizia, che cosa il suo esercito per preservare le loro vite?
Ed eccoci alla risposta della prima domanda. Gli assassinii sono stati rivendicati dalla filiale di Al Qaeda che si definisce «Stato Islamico dell'Iraq», aiutata da gruppi di guerriglieri sunniti, terroristi nutrono odio illimitato contro il cristianesimo e lo vogliono estirpare: per essi le chiese sono «obiettivi legittimi», tappe della sanguinosa avanzata dell'Islam.
Il cristianesimo mediorientale nella sfaccettatura delle sue numerose confessioni paga anche per la scarsa o mancata salvaguardia da parte dei regimi al potere. Regimi, bisogna dire, tutti a carattere musulmano, spesso integralista, che non riescono a liberarsi dal preconcetto anti-cristiano. Infine, tra gli errori del presidente Obama bisogna purtroppo aggiungere il ritiro delle truppe americane senza che il paese fosse pacificato, rendendo così inutile l'intelligente lavoro del generale Petraeus il quale aveva ripetuto fino alla stanchezza che la relativa stabilizzazione era fragile e facilmente reversibile. Infatti Al Qaeda ha ripreso vigore e scatena il pogrom contro i più deboli.

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