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I fondi al cinema e la qualità smarrita

È scoppiata la nuova guerra per il Fus? O meglio si tratta dello stesso conflitto che non è mai cessato. Il Fondo unico per lo spettacolo, per effetto della crisi, è stato leggermente «tagliato» nell'ultima Finanziaria, sicuramente in misura minore rispetto all'istruzione, all'università, all'assistenza, alla ricerca e ad altri capitoli di spesa fondamentali per i cittadini. Ma il fronte dei registi, degli attori e dei produttori (compresi i nomi importanti della tradizione gloriosa del cinema italiano) hanno protestato (con cartelli e fischietti) anche in occasione del recente Festival del Film di Roma. Stava per «saltare» l'apertura della rassegna ma poi, grazie anche alla mediazione di Sergio Castellitto (presidente della Giuria del Festival) ci si è fidati dell'impegno del ministro Bondi a ripristinare a 400 milioni di euro, entro il 2010, i fondi per il Fus (ricordiamo oltre la metà vanno alla lirica).
Naturalmente i produttori (ma anche i registi e gli attori) scalpitano e gridano che è necessario ottenere ancora di più, ignorando la crisi economica e le difficoltà strutturali dell'industria cinematografica che ormai produce poche idee e sempre meno registi e attori di qualità per il mercato internazionale. Non è un caso che alla recente Mostra di Venezia i film italiani non hanno conquistato alcun riconoscimento mentre i produttori continuano ipocriticamente a cantare vittoria, affermando che nelle sale il 30% degli spettatori scelgono film made in Italy. Riccardo Tozzi, presidente dei produttori Anica, si dimentica di dire però che quella cifra è fatta in massima parte dai cinepanettoni di Natale e da altri film dello stesso genere. Del resto, anche attori di grande livello artistico e non certo filo berlusconiani, come Raul Bova, trovano ora il coraggio di denunciare. In una intervista di qualche giorno fa Bova ha detto: «Lo Stato nel cinema ha buttato un sacco di soldi. Fermare il flusso di denaro non è stato sbagliato. Ma andrebbe riattivato immediatamente indirizzandolo meglio: con più rigidità e più controlli. C'è tanta di quella sporcizia da portar via, imbroglioni, raccomandati».
Non è solo Bova a pensarla in questo modo, anche se quando i gruppi più estremisti del mondo del cinema promuovono manifestazioni - ma mai scioperi, quelli «costano» - sono tutti in prima linea. Che qualcuno (attori, registi, sceneggiatori) abbia mai fatto cenno al mercato? Per carità, queste cose lasciamole ad altri Paesi. Lo Stato, secondo gli autori (quelli affermati, ma soprattutto la stragrande maggioranza che vorrebbe «sfondare»), lo pretende senza riserve in base a una presunta «libertà della cultura». Ecco perché rivendicano fondi per il tax credit ma soprattutto quelli a fondo perduto (che di fatto non vengono mai resistiti), come è avvenuto negli ultimi decenni. Un fiume di denaro buttato per finanziare opere che, quando trovavano la distribuzione, riuscivano a raccogliere al botteghino poche migliaia di euro.
Un'ultima notazione: il Festival di Roma, una creatura di Walter Veltroni, ereditata dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che aveva promesso di chiudere. Ci siamo sempre chiesti se fosse proprio necessario questo doppione della Mostra del Cinema di Venezia. I nostri dubbi sono rimasti, anche alla luce dei risultati dell'ultima edizione e dei relativi costi (13 milioni di euro). Almeno la metà delle spese viene garantita da enti pubblici. Ma in tempi di risparmi e di tagli non si potevano utilizzare meglio queste risorse?

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