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Sequestro di beni ad Agrigento, ecco chi sono i Cino

Nicolò era ritenuto componente della famiglia mafiosa di Racalmuto

PALERMO. Nicolò Cino, al quale la Dia ha sequestrato beni per un milione e mezzo, era ritenuto componente della famiglia mafiosa di Racalmuto (Ag), già contrapposta agli 'stiddari' del clan Sole, nella guerra di mafia che infuriò nell'Agrigentino agli inizi degli anni '90. Da venditore ambulante di alimenti, negli anni '90, intraprese un'attività di vendita di materiale edile. Nicolò è fratello di Luigi, elemento di spicco della famiglia di Racalmuto affiliata a Cosa nostra, ucciso nella prima strage di Racalmuto il 23 luglio '91.
Nicolò Cino si sarebbe occupato, assieme ad altri affiliati, della raccolta del pizzo nelle imprese. Il 5 dicembre 2006 la mobile di Agrigento lo sottopose a fermo di polizia giudiziaria (nell'ambito dell'operazione 'Domino'), su disposizione dalla Dda di Palermo. L'uomo era ritenuto responsabile di associazione per delinquere di stampo mafioso.
Il 30 luglio 2007, mentre si trovava nel carcere di Secondigliano (Na), gli venne notificata un'ordinanza di custodia cautelare, nell'ambito dell'operazione 'Domino 2'. L'ordinanza riguardò 22 persone, ritenute responsabili dei reati di associazione nell'ambito di Cosa nostra, omicidi e tentati omicidi commessi agli inizi degli anni '90 nell'agrigentino. Cino è stato accusato da alcuni collaboratori di giustizia di avere partecipato alle riunioni della famiglia mafiosa subito dopo la prima strage di Racalmuto, datata 23 luglio 1991, per decidere la riorganizzazione della cosca mafiosa, la partecipazione dei nuovi affiliati, la strategia di attacco agli 'stiddari'.
Il 16 gennaio 2009, Cino è stato condannato dalla Corte d'assise di Agrigento all'ergastolo per omicidio, associazione per delinquere di stampo mafioso ed altro (pena confermata nell'aprile 2010 dalla Corte d'assise d'appello di Palermo). Il provvedimento odierno riguarda anche Eduardo Cino, figlio di Nicolò, già arrestato nell'ambito dell'operazione 'Domino 2' e condannato, in primo grado, a 6 anni e 8 mesi per mafia. Venne però assolto il 29 luglio 2009 dalla Corte d'assise d'appello di Palermo per non avere commesso il fatto.

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