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L'America si prepara alle "elezioni di mezzo"

Una valanga o una sorpresa: ecco cosa attende l'elettore americano quando riemergerà, fra poche ore, da una campagna elettorale senza precedenti come intensità, doviziosità di mezzi e rabbia nella storia di elezioni di «medio termine», quelle in cui si sceglie il Congresso e non il presidente. Una sorpresa sarebbe proprio una grossa sorpresa, qualcosa di simile a un miracolo. Le dimensioni della valanga potranno variare e questa è in realtà la sola incertezza di queste ore: dato per scontato che i democratici perderanno la Camera, ci si è chiesti fino all'ultimo se hanno la possibilità di difendere almeno la loro maggioranza in Senato. È certo, appunto, che il partito di Obama perderà il controllo del Congresso nel suo insieme, trascinato in basso dallo stesso «motore» che due anni fa li aveva portati così in alto. I capovolgimenti di fortuna sono piuttosto frequenti nelle elezioni di «medio termine» (una specie di correzione di rotta dopo gli spostamenti più forti dovuti ad eventi eccezionali o alla eccezionale qualità di uno dei candidati), ma le dimensioni del fenomeno minacciano di essere stavolta straordinarie.

Non è dunque troppo presto, neppure prima della chiusura delle urne, domandarsi il perché. Di motivi ce n'è più d'uno, alcuni hanno a che fare con il «rovescio della medaglia» delle peculiarità politiche e personali di Barak Obama, a cominciare dal suo stile oratorio, del suo ammirevole autocontrollo, lucidità, flemma che vengono ora sentiti invece come freddezza e aridità nei «contatti umani». Ma il motivo decisivo è semplice da identificare, impossibile da negare. Lo si può chiamare in due modi: fattore tempo e fattore fortuna. Il destino dei primi due anni di Obama era scritto, probabilmente, nel calendario e illuminato dal paragone più profondo e al contempo più ovvio: quello con la sorte del suo predecessore ideale, Franklin Delano Roosevelt. L'uno e l'altro sono stati portati alla Casa Bianca da una Recessione talmente grave da meritare il nome di Depressione. Sono succeduti a presidenti repubblicani, conservatori e liberisti e hanno tentato di applicare formule «liberali» o «stataliste». Roosevelt fu eletto nel novembre 1932, Obama nel novembre 2008. Ma il disastro economico che li ha portati per reazione al potere aveva «età» differenti.

Roosevelt entrò alla Casa Bianca più di tre anni dopo la giornata del crollo di Wall Street, 24 ottobre 1929; Obama appena quattro mesi dopo il crack del 2008. Quando il primo fu eletto erano più che maturi i frutti avvelenati degli Anni Neri: la disoccupazione era saltata dal 3 al 25 per cento, il reddito medio delle famiglie era calato di un terzo, la produzione industriale dimezzata, la costruzione di case «caduta» dei quattro quinti, le quotazioni in Borsa di nove decimi. Avevano cessato di esistere undicimila banche, portando con sé nella distruzione gli interi risparmi di dieci milioni di famiglie. Il panico finanziario aveva avuto tempo di diventare minaccia esistenziale. Le dimensioni del disastro erano tali che a nessuno poté venire in mente di accollare al successore le colpe del ritardo nella ripresa.
Quando arrivò al potere Obama cominciavano appena a sentirsi le conseguenze del disastro finanziario accaduto sotto il suo predecessore. Quando Obama annunciò la propria candidatura, nel febbraio del 2007, la disoccupazione era sotto il 5 per cento, quel «giorno nero» del 15 settembre 2008 era ancora al 6 per cento, quando il nuovo presidente prese il potere non arrivava all'8 per cento. Poi si fermò fra il 9 e il 10 per cento. Per la maggior parte degli americani la recessione sta ancora accadendo, non ha toccato il fondo, la «ripresa» è avvenuta per l'alta finanza, non per il cittadino medio. Alle elezioni di medio termine il presidente non ha potuto presentarsi con l'enumerazione dei suoi successi ma solo con l'elenco dei disastri evitati. Non ha potuto, soprattutto, presentarsi con una frase chiara e sintetica come la domanda che Ronald Reagan pose dopo il suo primo quadriennio di presidenza: «State meglio o peggio?».

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