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Brasile, la scalata di Dilma l’economista

Non posso assolutamente permettermi di perdere questa elezione", aveva detto Luiz Inacio Lula da Silva in apertura della campagna elettorale presidenziale del 2010, la prima in cui egli non poteva essere candidato perché era già stato troppo a lungo presidente. Tanto egli si identificava con il successore che si era prescelto e allevato e che domenica sera è stata proclamata nuovo leader del Brasile. Ha dovuto aspettare il ballottaggio e al ballottaggio Dilma Rousseff ha "stracciato" José Serra, l'ultimo concorrente. L'ufficio elettorale l'ha proclamata eletta quando erano state scrutinate oltre il 90 per cento dei 137 milioni di schede messe nelle urne del quinto Paese del mondo per dimensioni (ha la superficie doppia di quella dell'intera Unione Europea) e lei aveva accumulato dieci milioni di voti di margine.
I conti sono dunque tornati per Lula e per la sua "pupilla": una nonna due volte divorziata che suona il pianoforte e che ha conosciuto esperienze come la cospirazione e la tortura, ma che di professione è economista. Quando si incontrarono, Lula era da poco arrivato al governo, non capiva molto di finanze, bilanci, investimenti: glieli spiegò Dilma, che "suonava" il computer come il piano. Capirono insieme i problemi e cominciarono a occuparsi delle soluzioni.
Decisero che il compito più urgente era la cosa che chiamavano "democratizzazione dell'energia", da realizzare attraverso il programma "Luz para todos", "luce per tutti", l'accesso all'elettricità per i poveri delle campagne: progetto ambizioso, addirittura improbabile, come del resto la donna incaricata di realizzarlo: la figlia di una maestra elementare e di un avvocato bulgaro, militante comunista scappato in Brasile pochi anni prima che i comunisti prendessero il potere in Bulgaria e cominciassero a scappare gli altri. Lui non ci pensò a tornare a Sofia e mise le radici nella piccola borghesia del Rio Grande do Sul. La figlia la mise a studiare in un collegio di suore belghe dove si parlava francese e le fece prendere lezioni di pianoforte. Tutto quello che si conveniva al suo stato sociale, a parte il sogno di Dilma, che era di diventare ballerina.
Ma a cambiare la vita di Dilma e di tanti altri brasiliani venne la dittatura militare. Lula vi si oppose con tenacia e coraggio ma con mezzi pacifici. Dilma,che evidentemente allora non lo conosceva, fece una scelta più radicale: entrò a far parte di un gruppo militante marxista-leninista che, ispirandosi al modello cubano, cercava di rovesciare il regime con la forza delle armi. Lei fu guerrigliera ma non sparò mai un colpo: glielo impediva la sua tremenda miopia. Però cospiratrice era ed entrò nella leggenda come la "Giovanna d'Arco sovversiva". Finì che la catturarono, passò tre anni in galera, fece la dolorosa conoscenza della tortura con l'elettrochoc. Sopravvisse, terminò gli studi, entrò in politica.
E in capo a una manciata di anni il suo progetto energetico riuscì in misura tale da costituire uno dei pilastri di quello che il mondo conosce ora come "miracolo brasiliano", non inferiore a quelli della Cina e dell'India, una crescita equilibrata che ha fatto del Brasile uno dei nuovi Grandi del pianeta. Dilma sembra decisa a governare tenendo conto prima di tutto degli interessi della nuova classe sociale che con quelle riforme si è formata, quella "medio-bassa" formata da milioni di cittadini usciti da una miseria secolare ed entrati ad allargare e rafforzare il ceto medio tradizionale proprio negli anni in cui in tanti Paesi d'Occidente esso è esposto a preoccupanti fenomeni di erosione.
Anche così la successione non è stata facile e tanto meno automatica. La maggior parte dei leader storici del Partito del Lavoro era scettica o aveva da proporre altri nomi. Lula non "consigliò" Dilma: la impose. La riconosceva un poco acerba come oratore e "trascinatore" nei dibattiti, ma ne conosceva la competenza e anche la cocciutaggine, che in certi casi è una virtù.
Come sarà il Brasile senza Lula? Sarà, rispondono i sostenitori di Dilma, un Paese amministrato seriamente all'ombra di Lula. Ci sarà continuità ma non necessariamente identità: "Comincia - profetizza l'ex ministro e sociologo Roberto Mangabeira Unger - una fase nuova, dunque una gestione differente per far fronte alle nuove esigenze. Una nuova tappa della nostra democrazia". In che direzione? Il passato di Dilma farebbe pensare a una svolta a sinistra. La neoeletta non ha avuto finora occasione di dar prova di quel pragmatismo che ha permesso a Lula di pilotare il "miracolo brasiliano" in crescente armonia con i principali Paesi del mondo democratici e liberisti. Dilma potrà "ritoccare" la direzione dello sviluppo incrementando il controllo statale su alcuni settori dell'economia, a cominciare dal petrolio.
Intenti azzardati? C'è chi lo teme. A tranquillizzare, se non proprio a convincere, servirà forse l'unica promessa che Dilma Rousseff ha fatto nell'intera campagna elettorale: "Se vinco, chiederò il parere di Lula tutte le volte che sarà necessario".
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