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L’arte fiamminga in mostra a Bruges

Aperta fino al 23 gennaio al Groeningenmuseum della città belga, in undici sale sono ben trecento le opere esposte

Maniacale nella cura dei particolari, intensa nei colori, potente nel tratto. La scuola fiamminga e la sua straordinaria capacità di contaminazione “paneuropea” sono oggetto di un’indagine culturale che Bruges – e chi, d’altronde, se non la culla dell’“ars nova” e di Jan Van Eyck? – conduce ormai dal 2002, l’anno della mostra “Jan Van Eyck, i Primitivi fiamminghi e il Sud”, e raggiunge adesso un picco difficilmente eguagliabile con l’imponente “Da Van Eyck a Dürer, i Primitivi fiamminghi e l’Europa centrale, 1430-1530”.
Aperta fino al 23 gennaio al Groeningenmuseum della città belga, in undici sale sono ben trecento le opere esposte. Tra queste, capolavori di Dieric Bouts e Hans Memling, Rogier Van der Weyden e Martin Schongauer, Joachim Patinir e Robert Campin oltre, ovviamente, a straordinarie e notissime tele di due chiavi di volta della storia dell’arte mondiale: Jan Van Eyck e Albrecht Dürer, appunto. E’ questa l’ultima “fatica” di Till-Holger Borchert, il curatore della mostra di Bruges, che parla di “sfida” e spiega che “proporre una monografica sarebbe stato più facile”. Polemicamente, inoltre, rivela di avere proposto in Italia la realizzazione di una rassegna “Da Giotto a Van Eyck”, bocciata “perché temono che non avrebbe molti visitatori”. Lui, comunque, attende al museo di Bruges 150 mila visitatori. Ma è solo una stima prudente, perché nel 2002 furono oltre 300 mila i biglietti staccati: “Le mie sono mostre per tutti. Non accetto chi fa distinzioni tra intenditori e grande pubblico”.
Otto anni dopo, da una mostra all’altra, Till-Holger Borchert ritiene – a ragione – di essere riuscito a rivelare “quale fu l’influenza dei cosiddetti Primitivi fiamminghi e quanto a lungo abbiano attecchito in Europa”. Paradossalmente, specie se queste parole vengono pronunciate a pochi chilometri da Bruxelles che è sede delle istituzioni comunitarie, lo studioso dichiara: “Malgrado le differenze territoriali, esisteva un linguaggio artistico comune. Erano evidenti radici comuni. Adesso, invece, siamo più nazionalisti”. Dopo avere investigato sui rapporti di reciproco scambio culturale tra Paesi Bassi, da un lato, Italia, Spagna e Francia, dall’altro, ora le Fiandre “chiamano” Ungheria, Germania, Austria, Polonia. Dimostrando che furono tutti segnati dal “realismo rivoluzionario” fiammingo capace di incidere profondamente – tanto per citare ancora Till-Holger Borchert – dalla penisola iberica ai Carpazi con fondamentali momenti di scambio nel nostro Paese.
Lo stesso Antonello da Messina, peraltro, “crebbe in un ambiente nettamente fiammingo”, come ha evidenziato Giulio Carlo Argan commentando il “San Gerolamo allo studio” del maestro italiano. Interessante, quindi, un parallelo costituito da un soggetto evidentemente caro agli artisti europei dell’epoca: il “San Gerolamo” di Dürer, attualmente esposto al Groeningenmuseum di Bruges, e quello di Antonello. Due rappresentazioni molto diverse, eppure accomunate dalla “lezione fiamminga” che – secondo Argan – è, ad esempio, evidente in Antonello da Messina per quel “procedimento inverso di soluzione del problema della rappresentazione dello spazio, per il quale non è la figura che domina lo spazio col gesto dell’azione ma lo spazio che si restringe e concentra fino a trovare nella figura il suo punto focale”.
(info: www.turismofiandre.it)

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