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I contrasti ideologici che diventano violenza

Un vento di violenza soffia sul nostro Paese. Talvolta è debole e riesce quasi impercettibile ai più, in altri casi provoca frastuoni e paure, ma non cessa mai di alitare sulla nostra vita civile.
Nello scontro politico i toni sono sempre più alti e aspri, le parole sono veramente pietre e in molti disperano che si possa arrivare a un dibattito in cui gli avversari non siano più nemici da abbattere.
Per le vertenze di ogni tipo la parola più usata è «lotta». Tutto assume toni minacciosi presi a prestito dalla terminologia militare, da presidio a picchetto.
Guardiamo ai sanguinosi scontri di ieri a Cagliari durante la protesta dei pastori. O a Terzigno, in Campania, dove il contrasto per la discarica è già sfociato in quella che quasi tutti i giornali chiamano «guerriglia urbana». Opinioni discutibili o rispettabili diventano scontri fisici, sassaiole, incendi con un pesante bilancio di feriti e arrestati.
In altri casi gli scioperi sortiscono il blocco di strade, stazioni, aeroporti sicché le vittime vere diventano i cittadini inermi, estranei alle contese e tuttavia presi in ostaggio.
Sì, è una brutta aria quella che tira e sembra che ad essa non ci si possa sottrarre, come se una maledizione pesasse sulla nostra vita civile e politica.
Anche i contrasti all'interno del mondo sindacale hanno assunto talvolta livelli violenti, intollerabili. Si pensi alla contestazione e all'aggressione subite qualche settimana fa dal segretario generale della Cisl da parte di estremisti della Cgil. Altro che unità, solo disprezzo e ricerca dello scontro fisico.
Il dato più inquietante è che a questi segni di violenza ci stiamo ormai abituando, quasi fossero soltanto una leggerissima devianza, tutto sommato tollerabile, alle regole di convivenza civile che caratterizzano un Paese normale.
Qualcuno dirà che è anche l'effetto della crisi globale che incupisce molti cittadini e ne altera freni inibitori e percezione della realtà. Ma questa tesi non regge, proprio la crisi esige da tutti senso di responsabilità e una coesione operante. No, il nostro è un antico malessere che ci porta, a quasi 150 anni dall'Unità, ad essere perennemente divisi, civilmente sminuiti dall'abuso delle ideologie e delle contrapposizioni.
Rassegnarsi? Mai, soprattutto non adesso. È la classe politica che deve dare segnali di cambiamento, mostrare ai cittadini che si possono avere idee diverse senza per questo imbarbarire i rapporti. E qualche volta questi segnali i politici li lanciano. Un gruppo di esponenti del Pd, guidati dall'on. Giuseppe Fioroni, si è recato ad esprimere solidarietà e sostegno a Raffaele Bonanni.
È un gesto significativo, che va al di là delle formali prese di distanza dagli episodi di violenza. Tanto più significativo perché spezzoni dell'opposizione non hanno tagliato i ponti con l'ala estremista della Cgil. Fioroni è andato al di là delle mere convenienze politiche per ribadire un principio e sarebbe bene che questo stile, questo comportamento fossero adottati da un numero crescente di politici di destra, di centro e di sinistra.
L'impegno primario di tutti i politici, in questo momento, deve essere quello di sottrarre i cittadini più fragili alle fascinazioni della violenza. Usando, tutti, toni più civili, evitando gli insulti che si traducono qualche volta in un proclama di mobilitazione che va al di là della partecipazione democratica.

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