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Il Papa e la coesistenza tra fede e scienza

La visita a Palermo di un teologo di grande fama come Papa Ratzinger invita a qualche riflessione che superi le mediocri, rissose e desolanti polemiche che sembrano interessare da mesi l'opinione pubblica. La scienza e la tecnologia moderne realizzano sogni e fantasie ipotizzati dalla mitologia - da Prometeo a Icaro, a Pandora - dall'alchimia, dalla fantascienza. Neuroprotesi, nanotecnologie, bioibridi, microchip, robot, cyborg cioè individui con organi artificiali e biologici. Un impasto di carne e metallo. Il futuro verso il quale ci avviamo sembra essere quello dell'uomo bionico o del post-umano: il pianeta sempre più popolato da automi biologici, governati, controllati e integrati dall'elettronica, da chip e sensori capaci di riprogrammare la biologia.
Alcuni filoni della ricerca scientifica contemporanea mirano al perseguimento della sintesi artificiale del corpo e della mente dell'uomo. Gli esseri umani si fonderanno con la tecnologia e diverranno un ibrido di intelligenza biologica e non biologica. La nostra specie sembra evolvere verso il transumano e il postumano.
Dante confina all'inferno «nell'ultima bolgia delle diece» gli alchimisti Capocchio e Griffolino d'Arezzo, perché considerava l'alchimia - la scienza d'allora - non un errore, ma una colpa fondata su pratiche illecite. In quale girone collocherebbe Padre Dante gli odierni uomini di scienza?
Lo sviluppo tecnologico porterà a una svolta. Già ora l'uomo digitale permanentemente interconnesso dall'alba alla notte, ma privo di qualunque rapporto umano, cresciuto a Mc Donald e byte, sta determinando una mutazione antropologica. L'over-dose di Internet, Google, Twitter - pur tra numerosi meriti e vantaggi - ha determinato due gravi devianze: la frattura della comunicazione verticale con la generazione precedente; il realizzarsi di un fast-food dell'informazione, che diviene un'immensa carta moschicida che imprigiona per sempre non solo idee, ma anche errori e scelleratezze.
L'evolversi tumultuoso e incessante delle ricerche sperimentali determina una svolta degli equilibri del passato: clonazione, biotecnologie, interventi genetici, ibridazioni. Le implicazioni etiche, gli interrogativi sul futuro della nostra civiltà sono profondi. V'è l'angoscia di una deriva scientifica e tecnologica.
I problemi di bioetica sono fondamentali per il presente e il futuro, spesso causa di forte conflitto tra confessioni religiose e settori della società. Esiste una differenza tra buona scienza e cattiva scienza? Lo scienziato ricerca la conoscenza proibita?
Invero una eccessiva impostazione riduzionista - i cui confini con il relativismo e nichilismo sono sfuggenti - imprigiona la comunità scientifica in un recinto di orgogliosa autosufficienza, connotata dall'hybris (così gli antichi chiamavano l'orgoglio smisurato che determina la collera degli dei) che illude di possedere la capacità onnipotente e onnicomprensiva del conoscere non solo la natura, ma anche i valori.
Dedichiamo, a nome di questo giornale, a Benedetto XVI il ricordo delle Sue alte e sagge parole nella Caritas in veritate. L'unica garanzia di libertà è «la fedeltà alla verità». Concludendo - contro la sopravvalutazione dello sviluppo tecnologico - che «a partire dal fascino tecnico esercitato sull'essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà, che non consiste nell'ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all'appello dell'essere». Gli ultimi eventi nella lunga tessitura della tecnoscienza, con le sue continue e permanenti innovazioni, delineano sempre nuovi orizzonti, oltrepassando quelli conosciuti. Taluni pensatori e filosofi ritengono che si impone una profonda revisione dell'idea «uomo» come essere speciale, autocentrato nell'identità individuale. Una mutazione di paradigma antropologico, che viene interpretata come il preannuncio del collasso inevitabile di ogni umanesimo. Si carica la tecnoscienza di una visione salvifica e trascendente. È il tramonto dell'uomo come identità personale, singolare e invariante?
Anche coloro che non sono interessati ai grandi interrogativi si rendono conto che i terminali della prevedibile embricazione tra materia vivente e tecnologia porta al rapporto tra ragione e fede, tra teologia e scienza. È necessaria quella che Monsignor Ravasi definisce «coesistenza pacifica», riprendendo la «teoria del dialogo» di Giovanni Paolo II: «Il dialogo deve continuare a progredire in profondità e in ampiezza».
Le invenzioni sono ineluttabili, ma noi siamo i responsabili delle loro direzioni. Di certo la ricerca scientifica non può fermarsi. Nella scienza la quiete è silenzio e morte. Gli sperimentatori, inquieti cercatori del vero, entrano spesso in contatto con il mistero, «sorgente di tutta la vera scienza». La scienza si dedica a fatti e dati, mentre religione e metafisica ai valori e ai significati ultimi. Bisogna sempre distinguere tra studio del «come» e del «perché».
La «coesistenza pacifica» può trovare realizzazione esemplare nella laicità sensibile alle tematiche religiose. Il grande Benedetto Croce, filosofo non credente, al termine del suo intervento all'Assemblea Costituente - che doveva approvare la nostra costituzione - disse: «Io vorrei chiudere il mio discorso... raccogliendo tutti quanti qui siamo a intonare le parole dell'inno sublime Veni, creator Spiritus: visita le nostre menti, sii luce all'intelletto, fiamma ardente nel cuore». «Scienza e religione non sono in contrasto, ma hanno bisogno una dell'altra per completarsi nella mente di un uomo che pensa seriamente», ricordava Max Planck, colosso della scienza e scopritore della teoria dei quanta, Premio Nobel per la Fisica. E nei conflitti dovranno prevalere carità e prudenza.

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