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Guerra nella ex Jugoslavia, quelle stragi dimenticate

Nessuno si ricorda più di nulla, a parte le vittime sopravvissute e i carnefici. Eppure non un secolo fa e neppure cinquant'anni fa, ma appena 15 anni fa a Srebrenica, in Bosnia, un generale serbo fece massacrare a sangue freddo oltre 8mila musulmani. Altre 40 mila donne e bambini vennero deportati, subendo umiliazioni e terribili violenze, compresi gli stupri sistematici. E tutto questo, tra l'11 e il 15 luglio 1995, è avvenuto nella disattenzione o meglio nella totale indifferenza dell'Occidente. A cominciare dal contingente olandese dell'Onu che ha consentito quei massacri: il peggiore genocidio attuato in Europa dopo la seconda guerra mondiale, in una città che le Nazioni Unite avevano ipocritamente definita «area protetta». Tutto questo è ora rigorosamente ricostruito in un libro, Cartolina dalla fossa - Diario di Srebrenica (Beit edizioni), scritto da Emir Suljagic, a quell'epoca un ragazzo di 17 anni che veniva utilizzato come interprete dal contingente Onu. L'11 luglio del 1995 40mila profughi inermi vennero consegnati dalle truppe dell'Onu, che avrebbero dovuto proteggerli, alla soldataglia di Ratko Mladic, ancora latitante, anche se condannato dal Tribunale dell'Aja per crimini contro l'umanità. Oltre 8mila uomini, tra gli 8 e gli 80 anni, vennero uccisi nei modi più bestiali e gettati in fosse comuni e poi dispersi per cancellare ogni traccia. L'autore afferma: «Sono sopravvissuto ma fra la loro morte e la mia vita non c'è alcuna differenza, perché sono rimasto a vivere in un mondo che, in modo irreversibile, è stato segnato dalla loro morte». Suljagic ha raccolto anche le testimonianze di molti sopravvissuti ai massacri. Uno di questi, un ex detenuto del lager di Susica, ha dichiarato: «Ci picchiavano con tutto. Con bastoni dalla punta metallica, cavi di ferro, mazze da baseball, ficcavano in bocca agli uomini le canne dei fucili».

Ma, come ben si sa, gli orrori non sono avvenuti, dal dopoguerra ad oggi, solo in Europa. Alcuni sono ancora in corso e ben poco si fa per fermare eccidi e violenze. Uno in particolare è diventato il simbolo della violenza nei confronti delle donne. Ci riferiamo al caso di Ciudad Juarez, una città messicana ai confini con la California, dove in pochi anni si sono registrate le uccisioni di più di mille ragazze. Un solo cimitero, con le croci rosa, raccoglie oltre 500 tombe di giovani donne. Due giornalisti (Marc Fernandez e Jean-Christophe Rampal) hanno realizzato un reportage, ora pubblicato in un libro della Fandango (La città che uccide le donne). Si tratta di un atto d'accusa nei confronti del governo, della magistratura e di tutte le altre autorità del Messico (ma anche dell'Onu) che non sono riusciti a individuare e punire i responsabili di centinaia di omicidi. Da quasi 15 anni Ciudad Juarez è ostaggio di assassini senza volto che violentano e uccidono giovani donne: lo sconvolgente bilancio è di due vittime al mese. Ormai questa città, sede di uno dei più importanti cartelli della droga dell'America Latina (3000 tonnellate di cocaina penetrano ogni anno negli Usa da questo passaggio) è diventata anche la capitale del «femminicidio».

Infine, due segnalazioni. La prima riguarda una nuova edizione del libro di Carlos Carralero, scrittore cubano dissidente del regime dei fratelli Castro, che vive in Italia: Saturno e il gioco dei Tempi (Spirali). L'autore, che ha fondato a Milano l'Unione per la libertà a Cuba, è da 15 anni è impegnato nelle lotta per i diritti umani e la democrazia nel suo paese. Attraverso il mito di Saturno, Carralero racconta nel suo libro le vicende del popolo cubano ridotto a soffrire per l'assoluta mancanza di libertà e di democrazia.  La seconda segnalazione si riferisce a un libro scritto da uno studioso, specializzato nella storia dello schiavismo, Olivier Pètrè-Grenouilleau (docente all'Università de Bretagne Sud a Lorient e nell'Institut Universitarie de France di Parigi). Nel saggio La tratta degli schiavi (il Mulino), l'autore racconta, in modo rigoroso e documentato, il commercio degli schiavi, sinora considerato solo nella parte atlantica, cioè dall'Africa verso le Americhe, fra il Seicento e l'Ottocento. Nello studio si dimostra che il commercio fu molto più vasto e complesso e non fu, come si è sempre pensato, opera esclusiva degli europei. Vi è stata una tratta orientale (verso il Medio Oriente e il Nord Africa) e quella all'interno dell'Africa (più del 50% del totale). Un libro di grande interesse che colma effettivamente una grave lacuna nella storiografia mondiale.

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