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La Fiat e le ideologie

La Fiom è rimasta fuori dai cancelli di Melfi. Aveva chiesto un'assemblea cui avrebbe dovuto partecipare il segretario generale Maurizio Landini. Gli altri sindacati si sono opposti. L'appuntamento è saltato. La Fiom si è dovuta accontentare di un comizio fuori dai cancelli corroborato da un'ora e mezza di sciopero. Qualche centinaio di partecipanti secondo gli organizzatori. Il deserto, ribatte l'azienda. La guerra dei numeri non rileva. Stavolta meno che mai. Quello che conta è il dato politico e su questo non ci sono dubbi. L'isolamento della Fiom è un dato strutturale. Se non trova una via d'uscita per riaprire il dialogo rischia davvero la marginalità. L'insuccesso di Melfi apre una questione piuttosto delicata. La distanza sempre più marcata tra rappresentanza e rappresentativi
La Fiom, infatti, è rimasta prigioniera del suo radicalismo. Ha saputo solamente dire di no. Ha cercato di svolgere un ruolo che non gli appartiene. Dinanzi all'incapacità dell'opposizione di centro-sinistra ha assunto funzioni di supplenza. Le sconfitte parlamentari compensate dalle manifestazioni di piazza. L'immobilismo delle segreterie di partito riequilibrato dal movimentismo di quelle sindacali.
In questa ottica si spiega l'esasperazione del conflitto sociale. Il rifiuto di qualunque accordo. La fuga all'indietro. Eppure la storia dei rapporti in fabbrica dovrebbe averlo insegnato. L'esasperazione del conflitto sociale in Italia non ha mai portato fortuna alla classe operaia. Dal "biennio rosso" che fra il 1919 e il 1920 aprì la strada alla Marcia su Roma, fino allo sciopero dei 35 giorni a Mirafiori del 1980 che determinò la marcia dei quarantamila.
I segretari della Fiom di un tempo si chiamavano Vittorio Foa, Luciano Lama, Bruno Trentin, Sergio Garavini. Sapevano che il compito principale di un sindacalista è quello di fare accordi. Non rovesciare il tavolo. Purtroppo la Fiom di oggi insegue l'ideologia. Non l'interesse dei lavoratori.
Tanto meno oggi che l'orizzonte produttivo si sta abbassando. Proprio a Melfi la Fiat ha annunciato la cassa integrazione per due settimane a partire dal 22 settembre. La sospensione coinvolgerà l'intero organico di 5.500 persone. Difficile in queste condizioni cercare la solidarietà per i tre lavoratori che sono stati licenziati e poi riammessi dal pretore. La Fiom l'ha fatto. Ha coltivato il mito dello scontro senza tener conto dei reali interessi dei lavoratori. La loro preoccupazione immediata riguarda la busta paga che sarà alleggerita dalla lunga cassa integrazione: perchè partecipare ad uno sciopero come quello di ieri che l'avrebbe tagliata ancora?
In prospettiva gli operai di Melfi si devono preoccupare della difesa del posto di lavoro. A questo punto il problema della rappresentatività diventa urgente. Ieri Cisl e Uil hanno dato il via libera alla revisione contrattuale. A partire da metà settembre si incontreranno con i vertici di Federmeccanica. Concorderanno le deroghe al contratto. Esattamente come chiesto a luglio da Marchionne. La Fiom si oppone. Vuole difendere il testo in vigore. Senza accorgersi nemmeno della contraddizione. Il contratto nazionale dell'anno scorso non porta la sua firma. La Fiom si era rifiutata di partecipare ritenendo l' accordo poco rispettoso dei diritti. Dodici mesi dopo, quel protocollo così poco considerato si è trasformato in un altare da difendere a ogni costo. Difficile credere ad una conversione tanto repentina. Forse è solo strumentalizzazione ideologica.

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