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La Fiat e la sfida di Marchionne

«Ho l'impressione che in Italia abbiamo paura o ci manca la voglia di cambiare». In questa semplice frase c'è il senso della sfida di Sergio Marchionne. Lanciata a tutti: al governo troppo impegnato a risolvere i problemi della maggioranza. Alle istituzioni che si mostrano impaurite. A quella parte del sindacato, come la Fiom, che difende l'esistente come fosse il migliore dei mondi possibili. Senza rendersi conto che «la cosa peggiore, quando non si vuole competere, è che a pagare sono i lavoratori». Ventuno applausi interrompono il discorso del capo di Fiat al Meeting di CL. Il servizio d'ordine farà fatica alla fine a sottrarlo alla calca del pubblico che vorrebbe toccarlo mescolando, data l'ambientazione, il sacro con il profano. La folla anonima di giovani e di piccoli imprenditori che grida: «Sei la nostra diga. Faremo un'altra marcia dei quarantamila.».
Un trionfo. Una dimostrazione che la parte più avvertita della società coglie l'importanza dello sforzo che la Fiat vuole compiere. Marchionne non ha cambiato idea: l'Italia come una parte del problema, la dimensione locale, la competizione globale, l'etica della responsabilità, il cambiamento come sfida. Incassa il primo apprezzamento. Viene da Giorgio Napolitano. Ci tiene a correggere il tiro. Un paio di giorni fa ha risposto ai tre operai di Melfi che Marchionne ha dovuto riammettere in fabbrica per ordine del giudice. Tuttavia ha impedito loro di avvicinarsi alla catena di montaggio ritenendo ormai rotto il rapporto di fiducia. I tre hanno protestato rivendicando la «dignità del lavoro». Non solo quello alla busta paga. A qualcuno era sembrato che Napolitano nella risposta accogliesse la lamentela. Ieri il presidente ha cambiato registro. Forse era stato capito male. Ora l'apprezzamento per il lavoro fatto dall'amministratore delegato della Fiat è esplicito. Vuol fare come Obama che pubblicamente ha applaudito al lavoro di Marchionne con Chrysler. Dice che anche in Italia viene apprezzato lo sforzo per il cambiamento. Uno sforzo che deve coinvolgere tutti. A cominciare dalle istituzioni e le parti sociali.
Una vittoria politica importante per il manager italo-canadese che non ha cambiato una riga del suo ragionamento. Bisogna dire basta alle ideologie. Bisogna recuperare l'etica della responsabilità. I lavoratori hanno dei diritti. Ma anche dei doveri. Bisogna finirla con la contrapposizione fra dipendenti e proprietà. Non sono più i tempi per immaginare il conflitto tra capitale e lavoro. La globalizzazione non lo consente. La Fiom resta ancorata al passato per ragioni puramente ideologiche. Di fronte alle incertezze dell'opposizione di centro-sinistra ha deciso di assumere una posizione di supplenza. Quello che non viene fatto in Parlamento si trasferisce sulle piazze. Per fortuna non è dovunque così. Marchionne ringrazia pubblicamente Cisl e Uil. «I loro segretari generali, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, ci stanno accompagnando in questo processo di rifondazione dell'industria dell'auto italiana».
Fissati i termini del problema, Marchione ha tracciato una ipotesi di soluzione e ha prospettato nei fatti un cambiamento culturale radicalmente anticonsociativo. Nulla ha a che spartire con la pratica italiana in cui il potere non si esercita ma si spartisce. Il capitale faccia il capitale. Il lavoro faccia il lavoro. Basta con l'inciucio nelle relazioni industriali. I sindacati tutelino i diritti ma non proteggano i sabotaggi. Il management gestisca. A ognuno il suo compito. L'etica della responsabilità è un obbligo per tutti. Non un optional per i momenti buoni.

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