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Se i militari criticano Obama

È la critica più aperta e acerba dei militari americani contro la strategia di Obama in Afghanistan. Se ne è fatto portavoce il generale James T. Conway, comandante del Corpo dei Marines, che in una conferenza stampa ha definito pericolosa e controproducente la scelta della Casa Bianca di attenersi a una data fissa per l'inizio del ritiro delle truppe Usa da Kabul.
Primo, perché quella data (estate 2011) sarebbe prematura; secondo, e soprattutto, perché essa creerebbe un equivoco nella mente dei talebani e dunque sulla loro condotta nel conflitto.
«Sapere che ce ne andremo comunque un giorno e che ritireremo gran parte delle nostre forze cominciando fra un anno, potrebbe incoraggiare gli insorti a "tenere duro" in attesa che ciò avvenga e a giocare la carta di chi dura la vince». Questo può accadere in due modi. I talebani continuano a combattere nonostante la dura pressione militare in corso da parte degli americani e dei loro alleati, sapendo che i rinforzi appena arrivati ripartiranno. Potrebbe accadere insomma (ma questo paragone il generale Conway non lo ha fatto esplicitamente) un bis del Vietnam, che è da trentacinque anni l'incubo dei militari Usa. A mano a mano che i G.I. si reimbarcavano i nordvietnamiti travolgevano le difese del governo di Saigon e occupavano tutto il territorio.
Il secondo rischio è solo in apparenza meno grave: nella ipotesi che la situazione militare si aggravi al punto da obbligare Washington a mantenere o addirittura intensificare le operazioni belliche. Ai talebani è stato promesso tante volte dai loro comandanti che gli americani stanno per abbandonare in massa l'Afghanistan: come reagirebbero se scoprissero invece che in realtà non intendiamo andarcene? Le conseguenze potrebbero, è vero, anche essere positive nel senso di una improvvisa demoralizzazione del nemico, ma ciò non accadrebbe in base ai piani bensì in contrasto con essi.
Conway in sostanza esclude che lo sgombero delle forze Usa possa avvenire fra breve, perché all'esercito afghano occorreranno diversi anni per poter prendere il posto dei soldati americani, particolarmente nell'area chiave del Paese, la provincia dello Helmand, roccaforte dei talebani e anzi loro culla, dopo che le offensive hanno mancato di produrre i risultati desiderati. Quella del comandante dei Marines (che comunque sta per lasciare l'incarico e andarsene in pensione) è solo la più esplicita delle prese di posizione militari critiche nei confronti della strategia politica di Obama. Pochi mesi fa, si ricorderà, il comandante in capo americano nel teatro di guerra afghano, McCrystal, aveva espresso in una intervista tali critiche, condite addirittura di sarcasmi, all'Amministrazione che Obama fu costretto a destituirlo.
Ma anche l'uomo chiamato a succedergli, David Petraeus, è fautore di una strategia non opposta ma radicalmente diversa: la "distruzione" degli insorti e delle loro roccaforti come condizione per cominciare a far tornare a casa i soldati Usa. Petraeus, si ricorderà, era stato lo stratega le cui intuizioni hanno permesso all'America di avviare il ritiro dall'Iraq, preceduto però da una serie di vittorie che sono servite perlomeno a indurre le milizie di Al Qaeda (il vero nemico degli Stati Uniti) ad andarsene da Bagdad, sia pure per trasferire in altri Paesi le loro centrali terroristiche. Però la strategia che ha avuto successo a Bagdad si è rivelata finora "non traducibile" a Kabul e nel complesso le forze americane ed alleate sono dovute rimanere soprattutto sulla difensiva. Gira e rigira, i generali "contestatori" dicono tutti la stessa cosa e gli fanno eco le rampogne a Obama di quegli avversari politici che a suo tempo sostennero le iniziative di George W. Bush.
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