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La corsa al risanamento dei conti pubblici

I soldi pubblici e facili sono finiti; e non è un problema che si risolve con qualche equilibrismo di bilancio o con qualche manovrina contabile. Non a caso è partita la corsa al risanamento dei conti pubblici. Sia pure tardivamente un po' tutti annunciano politiche di rigore. Non sarà facile. La spesa pubblica è talmente ingessata da lasciare pochissimi margini di manovra. Anche il taglio delle spese "improduttive" rischia di diventare un'esercitazione dialettica. Come regolarsi quando la spesa improduttiva, ad esempio, riguarda un precario che magari non lavora? Dietro ad un precario c'è comunque un essere umano e forse una famiglia. La Regione, le nove Provincie siciliane ed i 390 Comuni della nostra Isola presto saranno alle prese con problemi che rischiano di diventare ingestibili. È il risultato perverso di una politica per la quale è stato sempre agevole garantire un pasto con un sussidio pubblico, ma per la quale è risultato quasi sempre impossibile assicurare un pasto attraverso un lavoro vero.
Oggi l'economia siciliana è ferma, si perdono massicciamente posti di lavoro, emigrano le risorse umane più qualificate, cadono i consumi e, per di più, sono anche finiti i soldi pubblici e facili. La Corte dei Conti ha prodotto un'indagine sui comuni siciliani. Ne viene fuori un quadro inquietante; fatto di negligenze diffuse, forse nella convinzione, quanto mai errata, che tanto c'è sempre qualcuno che ci pensa. Probabilmente non ci si rende conto che la Sicilia ha una struttura fragilissima, che l'attuale crisi internazionale non è destinata a passare senza effetti e che siamo ormai prossimi a profondi cambiamenti come il federalismo. Fino ad oggi i comuni siciliani hanno vissuto prevalentemente di "finanza derivata". In altre parole hanno goduto di ampia autonomia di spesa senza alcun obbligo di doversi procurare le risorse da spendere. Oltre ai soldi dello Stato, i Comuni siciliani ricevono infatti generosi finanziamenti da parte della Regione. Sia chiaro: oggi fare il sindaco è un compito immane. Purtroppo però i sindaci tra le tante cose positive che fanno, non hanno saputo fare un uso corretto della leva fiscale. Con quale risultato? Immaginiamo per comodità di esposizione che ci siano due comuni, uno in Sicilia ed uno in altra regione italiana, che abbiano entrambi mille euro di entrate correnti all'anno. Ebbene il comune siciliano beneficia di 610 euro di trasferimenti statali e regionali, mentre l'altro comune riceve trasferimenti per 390 euro (il 36% in meno). Ancora, il comune siciliano incassa 390 euro di entrate tributarie ed extratributarie, mentre l'altro comune ne incassa invece 610 euro (il 56% in più). È questo il punto di partenza. Soltanto una rivoluzione copernicana può risolvere la questione. Ma non è tutto. C'è infatti la questione della Tarsu, l'imposta per la raccolta dei rifiuti. In Sicilia è iscritto a ruolo un carico tributario per Tarsu di 78 euro a testa, ma sono riscossi appena 12 euro a testa, il 15%. Nel resto d'Italia sono "accertati" 69 euro a testa e si incassano 33 euro, il 50%. Che cosa se ne desume? In Sicilia, scrive la Corte dei Conti, «permangono grosse percentuali di evasione tributaria, cui non fa seguito un'adeguata attività di recupero da parte degli organi preposti. Questo fenomeno aggrava i cronici problemi di liquidità dei comuni siciliani, cui questi ultimi fanno fronte attraverso le anticipazioni di tesoreria, con conseguente aggravio di spesa per interessi». Lo definiremmo il cane che si morde la coda. Non sempre e non per tutti è così. Molti comuni sono decisamente virtuosi. Nella provincia di Palermo, ad esempio, i modelli da imitare sono Cinisi e Campofelice di Roccella; sono più efficienti nella gestione delle entrate e delle spese, ricevono meno contributi da Stato e Regione e riescono ad autofinanziarsi meglio. Insomma, anche in Sicilia, volendo è possibile.
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