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Belpietro: andare al voto è l’unica possibilità

Il direttore di Libero: “La scissione dei finiani è stata superiore a qualunque previsione. Per molti versi una sorpresa”

PALERMO. Questo governo era nato con la maggioranza più forte della storia della repubblica. Sembrava destinato a durare 5 anni e varare finalmente le riforme che questo Paese attende da tanti anni. La scissione del gruppo dei finiani ha cambiato le carte in tavola. Soprattutto la situazione si è aggravata per le dimissioni dei ministri Scaiola, Brancher e del sottosegretario Cosentino. Che cosa accadrà adesso? Lo chiediamo a Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano Libero, che sull’argomento ha dedicato diversi editoriali sul suo giornale e un paio di giorni fa anche una conferenza che si è svolta a Cortina nell’ambito degli incontri organizzati con esponenti di primo piano della politica e dell’economia nazionale da Enrico Cisnetto.

Allora direttore, che cosa sta succedendo?
«Sta succedendo che la scissione dei finiani è stata superiore a qualunque previsione. Per molti versi una sorpresa. In molti e tra questi anch’io consideravamo la pattuglia dei fedelissimi del presidente della Camera al massimo in una ventina di deputati e 4-5 senatori. A carte scoperte si è invece saputo che sono in numero sufficiente a far cadere il governo per lo meno a Montecitorio».

Pensa davvero che si dovrà andare al voto?
«Credo che sia l’unica possibilità esistente. Il vecchio che avanza costituito dai sopravvissuti della Prima Repubblica come Fini, Casini, Rutelli e Bersani ha intenzione di fare lo sgambetto al governo per poi dare vita a quello che solitamente viene chiamato esecutivo tecnico o istituzionale ma che in realtà altro non è che un’ammucchiata necessaria per nascondere i pasticci indispensabili per privare gli italiani del governo che hanno eletto».

Davvero il ribaltone è dietro l’angolo come nel ’94?
«Come qualche tempo fa avevamo prestito prendendoci pure le accuse di essere troppo disfattisti se verranno lasciati fare questi avversari del governo organizzeranno un ribaltone e subito dopo cambieranno la legge elettorale per impedire che Berlusconi possa tornare a vincere. Un’operazione trasformista in piena regola che se non troverà ostacoli già entro la fine dell’anno potrebbe raggiungere il suo scopo».

Quindi pensa a un ricorso alle urne in tempi brevi?
«I seguaci del Presidente della Camera probabilmente non sono determinanti. Soprattutto perché il Pdl può contare su alcuni voti dell’opposizione. Oggi il ribaltone non è dunque ancora possibile e se Berlusconi cade non ci sono che le urne. Naturalmente ciò che vale oggi non potrebbe più valere tra un mese soprattutto se ci saranno altre uscite come quella annunciata da Chiara Moroni due giorni fa e se queste avverranno al Senato e non a Montecitorio».

Ma lei pensa davvero che il Cavaliere stia lavorando per tornare alle urne?
«Io credo che Berlusconi ci stia pensando e faccia bene a farlo. È giusto che metta da parte le vacanze e prepari le elezioni. Anzi se fossimo in lui non faremmo passare troppo tempo. L’agguato è dietro l’angolo. Meglio giocare d’anticipo. Come qualunque generale sa spesso è l’effetto sorpresa a far vincere le battaglie. Per la guerra invece si vedrà».

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