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Acqua, bene da tutelare

Tutto nasce da un grande equivoco? Oppure, più semplicemente, si tratta di una nuova strumentalizzazione politica. Come per il nucleare, come per i termovalorizzatori, come per i rigassificatori, come per il ponte sullo Stretto, come per il traforo sulle Alpi ecc. Ci riferiamo, in questo caso, all'acqua, alimento vitale per la razza umana e che, più di ogni altro argomento, si presta a una speculazione di gruppi  ideologici, movimenti e partiti (come quello di Di Pietro). I  soliti. Ma per fortuna non tutte le associazioni di utenti e consumatori hanno deciso di cavalcare la tigre della demagogia e si sono tenuti lontani dal raccogliere firme per un referendum abrogativo. Ma per abrogare che cosa? Si dice per  evitare la «privatizzazione dell'acqua». Ma si dà il caso che non esiste alcuna legge che privatizzi questo bene primario per la vita dell'uomo. Del resto nessuno dei quesiti posti nella proposta di referendum (legge Ronchi) fa riferimento all'acqua  «privatizzata». E allora perché si scomodano 500 mila e più cittadini a firmare per un referendum che non ha alcun senso? Perché gli slogans, purtroppo,  riescono spesso – in un Paese che legge poco - ad essere più efficaci di una corretta informazione e finiscono per portare più consensi (che si possono tradurre in voti, in occasione delle elezioni). In realtà, come abbiamo osservato in un libro uscito in questi giorni  («Puliamo il futuro», Guerini  editore) l'acqua è un elemento vitale che va certamente tutelato e non sprecato, come avviene in Italia. Ma si tratta di un bene pubblico che ha un costo considerevole (spese di gestione dei servizi, rinnovamento degli impianti, potabilizzazione,  trattamento chimico-fisico ecc.) che i cittadini-consumatori sono comunque chiamati a pagare. Se anche la gestione sarà delegata a società private o miste, gli enti locali  territoriali, per legge, sono vincolati ad effettuare controlli rigorosi  sulla qualità dei servizi e sulle tariffe, che devono essere preventivamente valutate e approvate. Nessuna «privatizzazione» dunque. C'è poi da considerare che la nuova legge si propone di ridurre drasticamente gli sprechi  (i cittadini consumano appena  l'8% dell'acqua, il 22% è utilizzata dall'industria e il 70%dalle attività agricole), anche per le pessime condizioni degli impianti idrici di trasmissione.  
È noto infatti che almeno il 30% di questo bene si perde prima di arrivare al consumatore. Sono necessari, quindi, ingenti investimenti per ammodernare la rete idrica che gli enti locali non hanno voluto o potuto fare. Anche se  le tariffe negli ultimi anni hanno registrato forti impennate, insieme agli sprechi. Ma i promotori del referendum non sembra che se ne siano accorti.  Forse scopriremo presto che questa «campagna» è alimentata  anche da quelle forze politiche che nei comuni mantengono una forte influenza clientelare (per assunzioni di comodo, carriere ecc.). Persino la strada delle caste e delle lobby passa per l'acqua.    

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