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La sfida si vince con messaggi chiari

Sergio Marchionne è stato di parola. Ha annunciato la nascita di Fabbrica Italiana Pomigliano che, di fatto, rappresenta la rottura con i sindacati, con il governo e anche con la Confindustria. Il più grande gruppo italiano assume una veste extra-territoriale. Fa sapere che il suo orizzonte è il mondo. Fabbrica Italiana Pomigliano erediterà gli impianti della fabbrica attuale. Non gli uomini. Assumerà solo quanti fra i 5.000 dipendenti accetteranno il protocollo sottoscritto il 15 giugno dai sindacati ad eccezione della Fiom. Questo significa la disdetta di fatto del contratto nazionale. Di conseguenza la Fiat si prepara ad uscire da Confindustria perché il contratto è stato firmato a livello confederale. L'annuncio potrebbe essere dato già domani nel corso del vertice all'Unione Industriali di Torino. La disdetta interesserà 25.000 dipendenti occupati negli stabilimenti di Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Termini Imerese e i colletti bianchi.
L'azzeramento del protocollo nazionale diventerà operativa fra due anni, quando scadrà l'accordo in vigore. In apparenza c'è tutto il tempo per pensarci. Al punto che il ministro Sacconi si dichiara ancora fiducioso in una soluzione condivisa. In realtà non è così. Il trasloco operativo su Pomigliano avverrà subito. Se non ci saranno novità già per la fine dell'anno le procedure potrebbero essere concluse. Dopodichè nulla sarà come prima. Anche perché il copione potrà essere ripetuto a Mirafiori e in tutti gli altri stabilimenti nei quali Marchionne avrà bisogno di una gestione condivisa. Chi, fra i dipendenti, vuole si imbarca e accetta le regole del bastimento. Gli altri restano a terra. Ci penserà la carità pubblica a farsene carico sotto forma di cassa integrazione, mobilità e altre forme di welfare. Alla fine del percorso, però, ci sarà la disoccupazione.
Ecco a quali brillanti risultati ha portato il radicalismo sindacale e quello della Fiom in particolare. Ecco che cosa significa credere ancora che il mondo sia fermo all'800. Classe operaia, proletariato, grandi fabbriche chiuse nei confini nazionali. Necessità di governare insieme al sindacato. Marchionne ha spiegato che tutto questo è finito. Che il sistema industriale è molto più rapido ad adattarsi ai cambiamenti di quanto non sappia fare un sindacato vecchio di un paio di secoli. Il lavoro sta con chi ha la capacità di adattarsi alle mutate condizioni del mercato. Per gli altri c'è l'elemosina di Stato. Certo un sistema duro, competitivo. Anche spietato. C'è alternativa? Non sembra. Si potrebbe sempre chiedere di fermare il mondo e scendere. Non sembra però che sia possibile. Una lezione che vale anche per gli industriali. Annunciando l'uscita da Confindustria, Marchionne lancia un preciso messaggio ai suoi colleghi: bisogna avere coraggio, bisogna recuperare fino in fondo l'orgoglio dell'impresa, bisogna sapere rischiare. Non solo sui mercati ma anche nei rapporti interni.
La sfida si vince mandando messaggi chiari al modo circostante: alla politica perché torni a fare il suo mestiere. Ai sindacati perché smettano con le ideologie e si occupino degli interessi veri dei lavoratori. Primo fra tutti tutelare il posto il lavoro. Degli operai italiani, però. Non di quelli serbi.

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