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L’adulterio causa di morte

Una donna tradisce il marito. Il marito la denuncia al capo religioso. Il capo religioso, impugnando la legge coranica impone al magistrato di condannare a morte l'adultera. Il magistrato stila la sua sentenza: lapidazione.
Accade in molti paesi musulmani. È accaduto in Iran almeno sei volte negli ultimi due anni ma l'episodio più recente, che ha come vittima la quarantenne Sakineh Mohammadi Ashtiani, è assolutamente incomprensibile da noi abitanti nella parte civile del pianeta poiché Sakinek il marito non lo ha più, è morto e lei è vedova. Vedova e ciò nonostante adultera, secondo la legge. In carcere dal 2006 le è già stata comminata la pena preliminare della fustigazione, 99 bastonate, in attesa di essere sepolta fino al mento nel cortile del carcere e bersagliata con sassi dai secondini oppure da volontari che si offrono a compiere la bisogna sino all'ultimo respiro del bersaglio umano.
In soccorso di Sakineh si è mobilitata quasi intera la comunità internazionale (esclusi gli Stati islamici) che con appelli e petizioni ha messo in difficoltà il governo iraniano già per tanti versi tallonato dall'Onu e dall'Unione europea, costringendolo a sospendere la condanna «per ragioni umanitarie». Sospendere, non annullare. Amnesty International, che è la più attiva nel denunciare casi come questo, sostiene che Teheran gioca con le parole: Sakinek, sottratta alla lapidazione, potrebbe essere impiccata. Cambierebbe quindi soltanto il modo. Del resto non è cosa nuova che in Iran si commuti generosamente la pena della morte con i sassi e si passi al filo di ferro che taglia la gola (benchè i Guardiani della Rivoluzione sembra prediligano le impiccagioni con gru mobili: più rapide, più efficaci e più spettacolari).
Ai tempi dello Scià non si lapidava e la pena era il carcere. L'arrivo sulla scena dell'ayatollah Khomeini riportò l'imperio della sharia, la legge divina, e con essa la lapidazione (però soltanto alla donna: l'uomo adultero era ed è punito con la fustigazione, raramente ucciso a sassate). In seguito si ebbe una fase di ripensamento e le lapidazioni furono sospese. Per riprendere su larga scala con l'elezione di Ahmadinejad, fedelissimo dei mullah: oggi, l'Iran in questo esecrabile campo vanta il primato dei paesi musulmani.
L'Iran è primatista anche nel taglio della mano ai ladri e ai ladri recidivi mano destra e piede sinistro. Tallonato in questa pratica dal Sudan. Anni fa, quando ero corrispondente della Rai in Medio Oriente, mi accadde di intervistare Al Turabi, ministro della Giustizia sudanese. Il giorno prima su una piazza era stata tagliata la mano ad un borsaiolo. Sapendo che Al Turabi era uomo di cultura, aveva studiato ad Oxford, conosceva tutti i classici inglesi, francesi e qualche italiano, gli chiesi se non provava orrore per una pratica così medievale.
«Lei è male informato» rispose. «Forse pensa a un boia che a colpi di accetta mutila un suo simile. Non è così. Il boia non esiste. Il taglio della mano ed eventualmente del piede da noi è praticato da un chirurgo con gli strumenti apportuni, bisturi, sega sterilizzata e così via. Niente Medio Evo, dunque». Usate anche l'anestesia per il condannato? fu la mia domanda ironica. «No, quella no. La sharia non la contempla. E del resto un malfattore deve pur soffrire, no?».
Le pressioni internazionali non hanno messo definitivamente al sicuro la povera Sakineh. Dobbiamo vigilare, continuare a tener gli occhi aperti, accertarci che i mullah non riescano ad aggirare l'ostacolo e far morire la donna con un altro espediente pur di soddisfare l'esigenza imposta dal codice coranico. Un codice che anche altri paesi islamici come l'Egitto, il Marocco, la Giordania, sinora sostanzialmente retti da regimi laici, per emulazione o per ricatto finiranno per adottare: con tutte le conseguenze morali e politiche che potranno derivare.

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