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Fiat, se i sindacati perdono la partita

La partita che Sergio Marchionne sta giocando tra Pomigliano e la Serbia merita una più attenta riflessione. A farla dovranno essere innanzitutto i sindacati. Ma non solo. Probabilmente anche i colleghi di Confindustria dovranno dedicare un po' di attenzione a quanto accade a Torino. Certo i sindacati restano in prima linea. La Cgil ha giocato male la partita di Pomigliano e adesso non trova più la strada per uscire. I tentativi di rientrare in gioco sono falliti: a cominciare dalla lettera aperta a Marchionne in cui invitavano il capo della Fiat a riprendere le trattative. Per tutta risposta si sono visti recapitare il licenziamento di un altro delegato. Il sindacato di Epifani dovrà prendere atto che la situazione è radicalmente cambiata. La Fiat si comporta, ormai, come una qualunque multinazionale che dirige gli investimenti dove ha la certezza di maggior ritorno del capitale. Potrà piacere o non piacere. Ma non c'è alternativa. Il socialismo reale è morto per fragilità interne. Non ci sono state guerre che l'abbiano abbattuto dall’sterno. Quindi non funzionava. La globalizzazione ha cambiato i termini del problema. Come aveva scritto Tremonti in tempi non sospetti la totale rottura dei confini porterà sicuramente maggior benessere a milioni di diseredati. Tuttavia toglierà ricchezza ai paesi più avanzati. Sul lungo periodo è immaginabile che la situazione si equilibrerà. Per adesso è così e - come diceva Keynes - nel lungo periodo siamo tutti morti. Quindi è qui e ora che bisogna fare i conti con la realtà.  Cominciando dal fatto che l'egualitarismo a tutti i costi ha fatto il suo tempo. Un mercato di dimensioni mondiali ripete la legge della jungla: gli esemplari migliori sopravvivono. I più deboli periscono. Marchionne sta cercando di mettere la Fiat nella categoria dei vincenti. Un vero miracolo considerando che appena otto anni fa sembrava destinata a finire nel gran pancione della Gm e sei anni fa era quasi fallita. E allora il sindacato deve decidere: difende privilegi e piccoli orticelli oppure consente lo sviluppo di un'azienda che diventando forte e solida potrà offrire lavoro e ricchezza?
L'alternativa, come purtroppo abbiamo visto a Termini Imerese, è il finanziamento della povertà che resterà quando lo stabilimento chiuderà.
Ma il discorso vale anche per Confindustria. Su questa partita Emma Marcecaglia almeno per due volte è stata spiazzata da Marchionne. Dapprima mentre applaudiva per la lettera distensiva di Fiom su Pomigliano. Non aveva ancora finito di parlare che le agenzie di stampa annunciavano il nuovo licenziamento disposto da Torino. La seconda sulla Serbia. Ha annunciato che avrebbe incontrato Marchionne per «parlargli». Forse per invitarlo a ripensarci e mantenere le produzioni della Fiat Zero a Mirafiori. Non sappiamo ancora se l'appuntamento è stato fissato.
Tuttavia deve essere chiaro anche per gli industriali che i parametri sono cambiati. Giusto, certamente, cercare la mediazione e, se possibile anche la condivisione degli obiettivi, a condizione però che non diventi inciucio. E forse la lezione che viene è anche questa: l'invito agli industriali a riprendersi l'orgoglio del loro lavoro e della funzione sociale. Il che deve indurre a mettere nel conto, quando è necessario, la contrapposizione al sindacato per far valere le ragioni dello sviluppo e della crescita, che si affermano nei mercati globali attraverso politiche forti riguardanti anche il costo del lavoro e la produttività.
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