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Il rischio del "precariato di mare"



A volte i corsi ed i ricorsi storici impressionano. Il mese di giugno del 1910 segnò la fine della compagnia marittima dei Florio, per una storiaccia di trame economico-politiche. Esattamente cento anni dopo, nel giugno del 2010, la voglia mai sopita della Sicilia "regione imprenditrice" si ri-materializza nella richiesta di acquisto della Tirrenia. Ma ripercorriamo i fatti di ieri, nella ricostruzione che ne ha fatto lo storico Francesco Brancato. La fusione tra la Società di navigazione dei Florio e la genovese Rubattino, dando vita ad un vero e proprio colosso del mare, scatenò gli appetiti dei grandi gruppi armatoriali italiani. Con un vero colpo di mano, un ministro italiano dell'epoca, Carlo Schanzer, portò alla ratifica del Parlamento un contratto, segretamente già stipulato, che consentiva alla compagnia del Lloyd Italiano (Piaggio) di assumere l'esercizio delle linee marittime nel Mediterraneo, per l'Africa, la Cina e l'India, garantendosi al contempo una generosa sovvenzione statale di 25 milioni di lire all'anno. In sostanza nello stesso mercato avrebbero dovuto competere due compagnie, una sovvenzionata e l'altra no. Fu la fine della compagnia dei Florio, del florido cantiere navale di Palermo e della loro grande fabbrica di motori marini, la Fonderia Oretea.


Era il mese di giugno del 1910. Esattamente cento anni dopo, nel giugno del 2010, la Regione Siciliana, attraverso una cordata nella quale detiene la quota di maggioranza relativa, ha avviato l'acquisto della Tirrenia e con essa della Siremar; una società quest'ultima che un anno fa lo Stato propose di regalare alla Regione che però la rifiutò. La Regione Siciliana ed i suoi soci, sborsando dieci milioni di euro, acquisteranno quindi la Tirrenia, proprietaria di 26 traghetti (per il 60-70% superati) e di quattro navi veloci, mai entrate in servizio perché antieconomiche. Il loro valore è stimato tra 400 e 450 milioni di euro. Sembrerebbe quindi un buon affare; purtroppo però, con le navi, la Sicilia ed i suoi soci si accingono a "comprare" anche 700 milioni di debiti. E qui entrano in gioco gli aiuti pubblici. Lo Stato italiano entro settembre, a rischio di pesanti sanzioni europee, deve liberarsi della Tirrenia. Per rendere la pillola meno amara ed evitare una certa quantità di esuberi, sulla torta è stata quindi collocata la ciliegina degli aiuti: 560 milioni di euro spalmati in otto anni per la Tirrenia e 660 milioni di euro in dodici anni per la Siremar.


L'operazione sembra definita. L'Europa ha già dato il suo assenso e nulla lascia presagire valutazioni diverse della Commissione. Nessuno dubita che le intenzioni della Regione Siciliana siano le più nobili, ivi incluso il desiderio di riparare allo scippo di cento anni fa. Né si può ignorare che la Regione già oggi contribuisce con 80 milioni di euro all'anno ai collegamenti per le Isole "minori". Tuttavia la gestione pubblica della Tirrenia non ne ha fatto certo un modello di business da imitare ed i precedenti della Sicilia in campo imprenditoriale non lasciano ben sperare. La Tirrenia, messa in seria difficoltà dalla concorrenza del vettore aereo low cost e gestita con logiche pubbliche, va avanti con sussidi pubblici. Inoltre i dipendenti della Tirrenia sono considerati "troppo onerosi rispetto a quelli dei concorrenti privati". Dopo tanto precariato di terra, in Sicilia si avverte il rischio di nuovo precariato di mare.

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