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Palermo, sgominata banda del bancomat: 5 arresti

Nel corso dell'operazione della polizia sono finiti in manette Marcello D'India, Agostino Giuffre', Giuseppe Di Maria, Giovanni Lo Verso e Michele Cirrincione. Avrebbero messo a ferro e fuoco le casse continue degli istituti di credito della città

PALERMO. Agenti della polizia di Stato appartenenti alla sezione “Antirapina” della Squadra Mobile di Palermo hanno arrestato i pregiudicati Marcello D'India, 55 anni, Agostino Giuffre', 46 anni, Giuseppe Di Maria, 36 anni, Giovanni Lo Verso, 28 anni e Michele Cirrincione, 43 anni. Nei confronti dei cinque i poliziotti hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Palermo, Luigi Petrucci. Le indagini hanno permesso di smantellare una banda di criminali che, nel corso degli ultimi mesi, aveva messo a ferro e fuoco le casse continue di istituti di credito ed uffici postali cittadini, oltre a dedicarsi ad una serie impressionante di furti d'auto e, presumibilmente, anche ad efferate rapine. Grazie ad intercettazioni ambientali e pedinamenti è stato anzi possibile rilevare come il sodalizio criminale, per quanto inizialmente animato da una specificità criminale legata al furto d’auto, abbia “diversificato” i suoi interessi, indirizzandoli verso uno spettro sempre più ampio di reati.



Il furto d’auto, nello specifico, in considerazione della “ordinarietà” con cui veniva portato a termine dai malviventi, in particolare dal Di Maria, può essere considerato solo un momento di un più ampio fenomeno del riciclaggio. Grazie, infatti, alla costante immissione sul mercato parallelo delle auto rubate di vetture o di singole parti meccaniche di esse, i malviventi stimavano che il “business” fruttasse loro qualcosa come 2000,00 euro al giorno. Scientifiche e da manuale le modalità con cui i complici si occupavano di mettere a segno i furti: la fase della sottrazione dell’auto era preceduta da un primo sopralluogo “preparatorio” che aveva lo scopo di infrangere lunotti e finestrini così da non far sostare troppo i ladri quando si sarebbe trattato di portar via la vettura; una volta rubate, le auto non erano mai condotte al riparo “in solitudine” da un singolo ladro, ma sempre scortate davanti e dietro da complici a bordo di vetture “pulite” che si sarebbero immolati, in caso di sgraditi posti di blocco delle Forze dell’Ordine; i furti avvenivano sempre in piena notte e d’inverno perché d’estate sarebbero stati troppo alti i rischi connessi alla presenza di testimoni su strada. Dalle indagini è anche emerso che, talvolta, il furto era utilizzato come strumento di vendetta ed in tal senso preferito addirittura all’incendio doloso, nei confronti di personaggi rei di avere commesso uno “sgarbo” all’indirizzo di uno dei sodali.



Una volta deciso di compiere il salto di qualità, i complici pensarono di dedicarsi al furto del denaro contenuto in bancomat postali e bancari e, per raggiungere lo scopo, i malviventi capirono di dover passare attraverso l’esplosione delle casse continue.
Due, in tal senso, gli episodi integralmente ricostruiti dalla Polizia di Stato, datati 4 e 13 febbraio 2009. In entrambi i casi la banda non raggiunse lo scopo prefissato ma mise gravemente a rischio l’incolumità fisica dei componenti del sodalizio criminale e dei residenti. Il 4 febbraio, Giuffrè, Cirrincione e Di Maria presero di mira il bancomat della filiale della Banca Popolare di Lodi di via Barone della Scala ma, nonostante l’uso di gas acetilene e di una miccia imbevuta di liquido infiammabile, il bancomat bruciò semplicemente senza esplodere. Ad agire materialmente fu Di Maria protetto alle spalle dai due complici che fecero da palo all’interno di una macchina posizionata a breve distanza.
Forse in ragione del precedente fallimento, ancora più rischioso fu il secondo tentativo, la notte del 13 febbraio 2009, presso l’ufficio postale di via Suor Maria  Dolores De Maio.
In questo caso ad agire furono il solito Di Maria, Giuffrè, Lo Verso e D’India.
Di Maria immise, attraverso la feritoia della cassa continua, una grossa quantità di acetilene tale da provocare una forte esplosione che mandò in frantumi una grossa porzione della facciata dell’ufficio postale e del bancomat ma non la sua parte interna, quella in cui era custodito il denaro. La deflagrazione ed il boato richiamarono naturalmente l’attenzione dei residenti che non tardarono ad avvisare il “113”.



Una volante della Polizia giunse in via Mater Dolorosa e trasse in arresto Di Maria che non si era voluto rassegnare al secondo fallimento. Di Maria fu bloccato dopo un improbabile tentativo di fuga con il volto ancora annerito dalla fuliggine dell’esplosione. Anche nei casi dei tentativi di furto ai bancomat, le indagini della Squadra Mobile hanno accertato come i colpi siano stati preceduti da accurati sopralluoghi volti a studiare la consistenza dei materiali da far esplodere per giungere al denaro. Numerose le precauzioni adottate anche in queste circostanze, non ultima quella di avere  effettuato le “visite” negli uffici interessati con oltre 24 ore di anticipo rispetto al colpo, cosicché le immagini registrate dalle telecamere a circuito chiuso sarebbero state automaticamente cancellate. I poliziotti ritengono che, per ciò che concerne i tentati furti ai bancomat, la mente e l’ideatore dei colpi sia stato D’India Marcello, capace di pianificare i blitz nei minimi dettagli, nonché di fornire strategie e luoghi di fuga ai complici che materialmente agirono sulle casse continue. E’ verosimile che gli arrestati si siano resi responsabili di altri tentati furti a bancomat ed efferate rapine registrate dalle Forze dell’Ordine negli ultimi mesi ed indagini sono in corso in tal senso.

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