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Ha calunniato giudice Russo, condannato Brusca in Cassazione

ROMA. La Seconda Sezione Penale della Cassazione ha confermato a Giovanni Brusca la sentenza di condanna per calunnia nei confronti del giudice Libertino Alberto Russo, inflitta dalla Corte d'Appello di Roma nel 2008. Brusca, oggi collaboratore di giustizia, durante il processo contro il senatore a vita Giulio Andreotti, aveva accusato Russo, consigliere della Corte d'appello di Palermo, di aver cercato di favorire il padre, Bernardo Brusca, in un processo, per ottenere i domiciliari e una diminuzione della pena in Appello.
L'ex membro di Cosa Nostra è stato, così, condannato a tre  anni di carcere e cinque anni di interdizione dai pubblici  uffici. Nel ricorso in Cassazione, Giovanni Brusca, ha invocato  la buona fede nell'aver riportato quella testimonianza perché quel fatto gli era stato riferito dal padre in confidenza. I  supremi giudici, nella sentenza n.28167, hanno però respinto il  ricorso ritenendo fondata la motivazione dei giudici di merito  che avevano accertato "l'inverosimiglianza delle accuse, non  avendo potuto il giudice, falsamente incolpato, concedere a  Bernardo Brusca gli arresti ospedalieri o domiciliari in quanto  gli stessi erano precedenti alla nomina di giudice a latere del  processo d'appello". Accuse inverosimili anche per la "concreta  impossibilità di favorire il Brusca nel processo, per l'evidente impossibilità di influire sui numerosi giudici togati e non  togati, stante la composizione mista della Corte d'Assise  d'Appello". Lo stesso riferimento alla confidenza del padre, poi, era sembrato ai giudici "un escamotage" ideato dall'imputato.

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