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Quegli attentati suicidi ormai così frequenti

Gli attentati suicidi sono ormai diventati così frequenti, che non esistono neppure statistiche certe in materia. Secondo l'Istituto di Studi strategici di Londra, nella prima metà del 2010 sarebbero stati 260; secondo gli esperti di terrorismo dell'Università di Aberdeen, che ha contato anche quelli falliti (come quello di sabato contro una colonna di alpini nella provincia di Farah, in cui è morto solo il kamikaze, o i mancati tentativi di fare esplodere alcuni aerei in volo) addirittura 484. Ma, tenuto conto che, spesso, un attacco viene compiuto da più soggetti, che poi vengono disintegrati dall'esplosione, c'è chi ritiene che in realtà siano più vicini a seicento: tutti pronti a sacrificare la propria vita per una causa che può essere la «guerra ai crociati», una faida tra sunniti e sciiti, un conflitto etnico, un attacco al proprio Stato, una vendetta contro un altro.
L'unica cosa certa è che gli attentatori sono tutti musulmani, magari convertiti di recente, che con il loro gesto diventano «martiri»: la stragrande maggioranza agisce per fanatismo, ma ci sono anche casi di uomini che si fanno saltare in aria per garantire un futuro alle proprie famiglie (Saddam regalava 10.000 dollari ai figli dei palestinesi che commettevano attentati in Israele) o di donne costrette a farlo per redimersi dai loro peccati. Il fenomeno è in questo momento più diffuso in Afghanistan, in Pakistan e in Iraq, dove sono in corso dei conflitti, ma ormai coinvolge il mondo intero, con le sole eccezioni di America latina e Australia. Di recente, abbiamo avuto un caso anche a Milano, dove un immigrato libico ha tentato invano di fare saltare una caserma. Gran parte degli attentati ha una funzione genericamente antioccidentale, ma ce ne sono alcuni che, secondo il principio che «i nemici dei miei nemici sono miei amici», fanno invece il nostro gioco: per esempio, quello di giovedì della organizzazione Jundallah nel Baluchistan iraniano contro il regime degli ayatollah. Ma sia Washington, sia addirittura la Farnesina, si sono affrettati a condannarlo.
L'aspetto più preoccupante di questa proliferazione è la sua relativa novità: non si ricordano, in particolare, attentati suicidi nella jihad afgana contro gli invasori sovietici, né in altri conflitti coinvolgenti combattenti musulmani fino agli anni Ottanta. Adesso, invece, sono diventati quasi ordinaria amministrazione (solo ieri, tre), per il semplice fatto che sono i più difficili sia da prevenire, sia da sventare. Per giunta, le cinture esplosive sembrano diventare sempre più potenti, più sicure, e anche più difficili da scoprire. Proprio per questo, i controlli negli aeroporti sono diventati più meticolosi. Ma il vero incubo che i servizi occidentali cercano di scongiurare è che i kamikaze collegati con Al Qaeda arrivino a procurarsi bombe «sporche», cioè capaci, come minuscole atomiche, di diffondere radiazioni mortali. Se accadesse anche una sola volta, provocherebbe un'ondata di paura a livello mondiale, con conseguenze simili all'11 settembre. Per ora è difficile, ma purtroppo, al peggio non c'è mai fine.

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