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Berlusconi costretto a sguainare la spada

Agli occhi dell'opinione pubblica - anche quella che lo ha votato - oggi Berlusconi rischia di apparire impotente come lo fu Romano Prodi. L'elettore - di destra o di sinistra - si dispiace quando vede che il proprio governo vacilla sotto i colpi dell'opposizione. Ma s'infuria quando lo vede vacillare sotto i colpi della propria maggioranza. Oggi, piaccia o non piaccia, lo spettacolo è questo . Perciò se Berlusconi prenderà finalmente in mano la spada, come gli ha suggerito Umberto Bossi, potrà usarla in due modi: tagliare teste, anche importanti, che offuscano l'azione del governo; disboscare la propria strada dalle troppe piante cresciute in maniera così impetuosa da bloccarne il cammino; fare harakiri. Per scongiurare la terza ipotesi - tutt'altro che campata in aria - il presidente del Consiglio deve energicamente procedere con le altre due. i Dovunque si volti, Berlusconi oggi ha un problema. Fini dice ai suoi di non commettere falli da rigore, ma in commissione Giustizia della Camera la legge sulle intercettazioni avanza con la lentezza e i rischi mortali tipici degli americani nelle risaie vietnamite. Bossi è per definizione "l'alleato fedele", ma costa come un'amante esigentissima che spilla ogni ben di Dio al suo uomo sussurrandogli nell'orecchio: "Amore, io sono l'unica che non ti tradirà mai". E intanto tira su appartamenti su appartamenti. Avendo una sponda formidabile nel ministro dell'Economia, più potente al momento dello stesso presidente del Consiglio. C'è il paradosso dell'anarchia dentro un partito monarchico, in cui le fondazioni rischiano di trasformarsi in autonomi centri di potere armati l'uno contro l'altro. E c'è infine un oggettivo problema d'immagine dopo le vicende Scajola, Brancher, Cosentino e i colpi ai quali è sottoposto Verdini. E' ovvio, inoltre, che né Fini, né Bossi hanno interesse all'ingresso di Casini nella maggioranza perché avrebbero tutto da perdere da un bilanciamento dei rapporti di forza. Ma nessuno, d'altra parte, pensa seriamente che sia aria di governi di transizione, come auspicato da D'Alema.
In queste condizioni parlare di Grandi Riforme è impossibile. In due anni di governo, la maggioranza non è riuscita nemmeno a mettersi d'accordo su un tema minore ( ma strategico) come il cambiamento della legge per l'elezione del Consiglio superiore della magistratura. Arriverà mai la vera riforma dell'ordinamento giudiziario? E la riforma dello Stato? E quella fiscale? Il governo ha dalla sua la tenuta dei conti pubblici (e qui Tremonti ha i suoi meriti) e ha garantito la pace sociale, grazie alle estenuanti mediazioni di Letta e di Sacconi. Ma non basta. Se non vuole spegnersi lentamente, come prevede la sinistra, Berlusconi deve sparigliare il gioco. L'ha fatto tante volte dopo aver perso le elezioni. Adesso deve farlo dopo averle vinte nel 2008 e rivinte nel 2010. Deve sganciarsi dagli eterni ricatti giudiziari e giocare a tutto campo. Ieri ha detto che impiegherà l'estate per ristrutturare il partito. Non vuole che i suoi si battano in televisione con gli amici di Fini. Pensa a una grande manifestazione popolare per l'inizio dell'autunno. Sollecita i ministri a valorizzare i risultati dell'azione di governo che certo non mancano. Ma gli serve il colpo d'ala. Un leader che si lamenta è un leader debole. E la debolezza nell'apparire si tramuta fatalmente nella debolezza dell'essere. Perciò, impugnando la spada offertagli da Bossi, il Cavaliere - se vuole salvarsi - deve incarnare le di virtù di Alberto da Giussano.

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