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Fuga dalla Sicilia: tra rimpianti e desideri esauditi

Storie di uomini e donne che non trovando sbocco nella loro terra sono costretti a cercar fortuna fuori. E qualcuno c'è anche riuscito

PALERMO. Una laurea, l’amarezza e, perché no, un pugno di rabbia. C’è questo nella valigia di cartone dei nuovi emigrati. Cittadini siciliani che con forza si sentono respinti dalla propria terra, a cui controvoglia girano le spalle nel tentativo di far fortuna altrove. Al nord. Sempre più spesso all’estero. Passano gli anni e i decenni, ma sembra rimanere intatto l’ “American dream”. Quel sogno che, poco importa se si chiama America o Lombardia, per chiunque e in ogni caso è la voglia di farcela nonostante tutto, nonostante un’Isola che – andando ben oltre la sua posizione geografica – sembra isolarti anche nell’animo. Una terra che si rivaluta soltanto con la lontananza, perché “la Sicilia non è solo un nome, un luogo o un triangolo su una cartina. E’ un modo di essere, di vivere, di sentire, una convergenza di culture, di sapori, di odori, che solo al centro del Mediterraneo ha diritto di cittadinanza”. Parole queste, che arrivano alla nostra redazione ( [email protected]) direttamente dallo stato della Louisiana, negli Usa, dove l’ingegnere siciliano Cristiano Scorsone ha trovato rifugio dopo essere stato “quasi cacciato a calci” dalla sua terra. Una lettera profonda che racconta l’Io, oggi, di un siciliano come tanti che all’estero ha realizzato il suo sogno, ma che con il cuore torna sempre alle sue origini. “E’ vero, manca il lavoro, il futuro, le prospettive – continua Cristiano Scorsone –. E’ vero, la classe politica è corrotta o inefficiente e la mafia non abbellisce di certo il quadro. Ma siamo quello che siamo anche grazie a questi elementi negativi che stimolano il nostro istinto di sopravvivenza”. Siamo un popolo con la pelle dura, che porta addosso il peso di millenni di storia, che è contaminato da culture diverse. Per tutti questi figli di una terra che sembra quasi rinnegare la sua stessa progenie, un senso di sradicamento forzato. “C'è tanta delusione e frustrazione in me – scrive il palermitano Nicola Martorana –. Sono un giovane che per tanti motivi ovvi ha deciso, se di decisione si può parlare, di trasferirsi al nord. Sono deluso e arrabbiato. Vorrei vedere un futuro radioso per la mia Sicilia e per il Mezzogiorno in generale, ma non ci riesco. Vorrei poter dire ai miei genitori che un giorno tornerò in Sicilia, ma non ci credo”. Perché i siciliani senza Sicilia sono tanti, sono i figli di “una generazione di malcapitati sfrattati a forza dai loro ricordi e dalle loro case” scrive Calogero Notaro, che oggi vive a Genova ma non dimentica di essere il figlio di due emigranti che negli anni Sessanta sono andati via pur di “sfamare la famiglia”. “Faccio parte di quel gruppo di persone che ha capito che la propria strada bisogna costruirsela, con le proprie mani e lontano dalla Sicilia – scrive Antonio Castronovo, dalla provincia di Brescia – perché lì è difficile, se non impossibile, riuscire a costruirsi un'esistenza normale”. Storie di uomini e di donne, di giovani e anziani, che si intrecciano, forse si confondono, su un unico scenario, un’unica sensazione: la mancanza. Quel senso di appartenenza che più si è lontani e più si fa forte. Perché, citando le parole di Angelo Cancelosi, anche lui uno di quelli che ha dovuto salutare la sua terra, “spesso la nostalgia cancella le cose brutte”.

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