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La triste sorte dei giovani specializzandi non medici

Cara Redazione,
siamo due giovani specializzandi non medici, iscritti rispettivamente al terzo e al primo anno della Scuola di specializzazione in Biochimica clinica presso l’università di Palermo, la scelta di continuare gli studi dopo il conseguimento della laurea specialistica in Biomedicina è stata dettata dal fatto che ormai nel nostro “bel paese” il titolo di specialista è d’obbligo per la maggior parte delle attività che noi laureati in biologia, biotecnologie, farmacia ecc. possiamo svolgere presso strutture pubbliche e non.
Noi specializzandi non medici viviamo una condizione di precariato che forse non è neanche degna di chiamarsi tale. Arriviamo all’età media di 30 anni senza percepire niente e soprattutto senza avere un riconoscimento per il nostro futuro, ovvero previdenza per tutti gli anni di servizio prestato nelle università, nelle aziende ospedaliere universitarie, nelle cliniche private e nei laboratori convenzionati con l’università. È un’indecenza che un paese che si professa civile possa ancora una volta perpetuare una tale discriminazione nei confronti di una categoria che giornalmente presta servizio accanto ad altrettanti professionisti (medici) che per le stesse mansioni percepiscono uno stipendio di 1800 euro mensili, più tutti i diritti di un lavoratore il cui rapporto di lavoro è regolamentato da un contratto. Infatti, noi specializzandi “non medici” iscritti alle stesse scuole degli specializzandi medici, accedendo alle stesse per pubblico concorso, pagando le stesse tasse, seguendo gli stessi corsi e sostenendo gli stessi esami, prestando lo stesso servizio presso le stesse strutture, non godiamo di nessun diritto dal momento che la nostra presenza non è regolamentata da contratto.
È giusto che sia la tasca delle nostre famiglie a segnare lo spartiacque del nostro percorso formativo? L’unica cosa che il nostro Paese ha ritenuto e continua a ritenere giusto è forse quella di non garantire “uguali trattamenti per uguali prestazioni”. Cosa accadrebbe se noi “non medici” decidessimo domani di non dare retta alle sveglie, non spostarci e di non garantire il servizio presso i laboratori da noi quotidianamente frequentati? La risposta credo sia ovvia come ovvie sono state le conseguenze quando qualche anno fa furono i medici a scendere in piazza. La nostra è una condizione che accomuna gli specializzandi non medici di tutta Italia, come è stato dimostrato da numerose lettere aperte che negli ultimi giorni sono state pubblicate anche da testate giornalistiche a tiratura nazionale, crediamo sia corretto dare voce alla nostra categoria in modo da far sapere alla gente che usufruisce di servizi sanitari pubblici che dietro le quinte c’è gente che solo per passione aiuta a tirare avanti le “baracche” che la sanità pubblica sta cercando di distruggere.
Carmelo Migliorisi e Valeria Lapaglia, Palermo

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