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Mafia, Spatuzza non ammesso a programma di protezione

Lo ha deciso la Commissione centrale del Viminale. La proposta era stata avanzata dalle procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo che indagano sulle stragi di via D'Amelio e del '93

PALERMO. Il boss della mafia Gaspare Spatuzza non è stato ammesso al programma di protezione. Lo ha deciso la Commissione centrale del Viminale per la definizione e applicazione delle misure speciali di protezione. La proposta era stata avanzata dalle procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo che indagano sulle stragi di via D'Amelio e del '93. La proposta di ammettere al programma di protezione definitivo il boss è stata rifiutata perché il pentito ha cominciato a fare le sue dichiarazioni ben oltre il limite dei 180 giorni dal giorno in cui ha espresso la disponibilità a collaborare.Restano confermate "le ordinarie misure di protezione ritenute adeguate al livello specifico di rischio segnalato". E' quanto ha deciso la Commissione centrale per la definizione delle speciali misure di protezione che ha negato il programma al boss mafioso.
Gaspare Spatuzza ha cominciato a collaborare con la magistratura il 26 giugno del 2008. Poi ha reso altre dichiarazioni dal 16 giugno 2009 e quindi, nel giudizio contro Marcello Dell'Utri, il 4 dicembre del 2009. Le sue sembrano, dunque, 'dichiarazioni a rate'. Secondo quanto rileva la Commissione centrale del Viminale per i programmi di protezione, nella motivazione di rigetto dell'ammissione al programma per Spatuzza, non vi è infatti "alcun elemento che autorizzi a ritenere che di quanto riferito nel dibattimento contro Dell'Utri Spatuzza avesse già parlato nei 180 giorni previsti dalla legge". "La fissazione dei 180 giorni quale termine ultimo per riferire fatti gravi, o comunque indimenticabili, è funzionale, secondo l'unanime volontà del Parlamento nel 2001 - è detto nella motivazione - a garantire tale genuinità e a evitare abusi, viceversa realizzabili se, come è accaduto in più casi, fossero ammesse le cosiddette 'dichiarazioni a rate'". "L'obbligo di lealtà e di correttezza del collaboratore nei confronti dello Stato, dal quale egli aspira a ricevere un trattamento premiale, deve tradursi nella genuinità delle dichiarazioni".

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