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Le donne e i vantaggi del nuovo pensionamento

La questione delle pensioni delle donne del pubblico impiego a 65 anni sta scatenando un putiferio. Partiti politici, sindacati, femministe storiche e donne intellettuali si stracciano le vesti in nome della discriminazione di genere. Anche il mio amico Giuliano Cazzola, da tutti riconosciuto come un grande esperto di previdenza, ha definito "irragionevole" la decisione dell'Ue e,specificamente,la cocciutaggine della commissaria Viviane Reding, che non ha concesso sconti al ministro Sacconi, rigidamente ferma sul 1° gennaio 2012 (invece del 2018,come voleva inizialmente il governo). Su questa scelta di parità previdenziale uomo-donna si è scatenata,come si è detto, una polemica, con accenti pretestuosi,strumentali e demagogici, ma gli argomenti addotti per alimentare un "conflitto" con gli "irragionevoli" vertici di Bruxelles sono stati risibili e scontati. Anche perché l'Italia ha avuto 20 anni per rispettare il diritto comunitario sulla parità retributiva. Vi è stata anche una sentenza (2008) della Corte di Giustizia europea che ha dato ragione alla Ue, ma il nostro paese ha continuato a cincischiare, a prendere tempo, sino a quando nel 2009 ha approvato una graduatoria di otto anni, sino al 2018, che sembrava fosse stata accolta dalla vecchia Commissione Ue (forse perché era in scadenza), ma che la nuova ha fermamente rifiutato, minacciando sanzioni pesantissime (sino a 800 mila euro per ogni giorno di ritardo dalla sentenza). Gli argomenti ? Sono i soliti che vengono snocciolati da molti anni: il doppio lavoro (impiego-casa) che penalizza le donne, la mancanza di servizi per alleviare il carico delle lavoratrici madri (carenza di asili nido, ecc.). Tutti problemi assolutamente veri. Ma servono ancora oggi questi argomenti per continuare a giustificare la fuoruscita dal lavoro delle donne statali (quasi tutte occupate dietro una scrivania o una cattedra) cinque anni prima degli uomini ? Lasciamo perdere tutti i soliti motivi sciorinati,anche questi,da anni: la donna vive almeno 7- 8 anni più dell'uomo e così via. Ma c'è un argomento chiave, a cui fa riferimento l'inflessibile commissaria Reding,che va considerato: perché le donne devono essere discriminate anche nella previdenza? E poi siamo proprio sicuri che tutte le donne siano felici di smettere di lavorare prima degli uomini, soprattutto nel pubblico impiego? Infatti, il problema dei servizi carenti vale prevalentemente per le donne giovani che decidono di diventare madri, ma quando si arriva a 60 anni, già nonne e comunque più libere da impegni familiari (i figli sono adulti, spesso già sposati con prole) rischiano di annoiarsi e spesso si limitano ad accompagnare i nipotini a scuola o prendersi cura degli anziani. Forse molte donne preferiscono ancora sentirsi attive professionalmente, rifiutando di infilarsi prima del tempo le pantofole. Con l'indubitabile vantaggio di conquistare un più ampio margine di tempo per far carriera e comunque per arrivare a pensioni più alte. Sono convinto che le donne che la pensano così sono una percentuale molto elevata. Non a caso i sindacati (soprattutto Cisl e Uil) non hanno alzato le barricate, ma - a differenza del passato - hanno scelto la strada della comprensione. Grazie all'Europa e all'inflessibile Viviane Reding.

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