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Mafia e appalti, diciannove arresti a Palermo

Maxi operazione della squadra mobile coordinata dalla Dda. Sequestrati beni e imprese per diverse centinaia di milioni di euro

PALERMO. Circa 200 agenti della sezione criminalità organizzata della Mobile di Palermo sono impegnati in una maxi operazione antimafia coordinata dalla Dda del capoluogo: 19 le persone destinatarie di ordinanze di custodia cautelare in carcere, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio ed interposizione fittizia di beni.    
Con questa indagine, coordinata dal dipartimento Mafia ed economia della Dda, diretto dal pm Roberto Scarpinato, la polizia ha fatto luce su illeciti nella gestione dei grandi appalti di opere pubbliche e private e sulle connessioni tra mafia ed imprenditoria.
Le indagini, che si sono avvalse di intercettazioni ambientali e accertamenti nei confronti degli esponenti di vertice di Cosa Nostra palermitana a partire dal 2005 sino ad oggi, hanno permesso di svelare i sistemi mediante i quali l'organizzazione mafiosa ha mantenuto nel tempo il controllo di tutto il ciclo produttivo del mercato edilizio: dalla fase di acquisto dei terreni, alla gestione delle cave di inerti, all'imposizione delle imprese addette a tutti i comparti produttivi, sino alla fase di smaltimento dei materiali di risulta nelle discariche, con interessi che si proiettavano anche sui lavori concernenti l'esecuzione dei lavori per la realizzazione di un termovalorizzatore a Bellolampo.   
I boss palermitani - tra i quali i capi mandamento Antonino Rotolo, Antonino Cinà e Salvatore Lo Piccolo - secondo le indagini arrivavano a imporre ad alcuni accreditati studi professionali di consegnare l'elenco dei lavori più importanti in corso di progettazione, in modo da effettuare una cernita preliminare di quelli da riservare all 'organizzazione.   
La penetrazione all'interno nel settore degli appalti pubblici e privati veniva realizzata mediante imprenditori, alcuni dei quali controllavano consorzi operanti in campo nazionale e numerose società di primo piano del mercato palermitano, in qualità di soci dei capimafia, riciclatori o  bracci operativi fiduciari.
Nell'ambito della stessa inchiesta sono stati sottoposti a sequestro preventivo aziende, imprese e beni immobili del valore di diverse centinaia di milioni di euro.

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