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Il grave errore di Israele

Non meraviglia la reazione di alcune comode greppie di enti e fondazioni che stipendiano politici, ex politici, assistenti, portaborse e segretari nullafacenti a carico di noi contribuenti. Facendosi scudo della rispettiva protezione altolocata non hanno mai risposto quando gli è stato chiesto che cosa facessero.
Un atto di forza brutale che avrà conseguenze Catastrofiche sul futuro delle relazioni di Israele con il mondo. L'arrembaggio della marina ebraica alla flottiglia di militanti filo-palestinesi al largo di Gaza è stato compiuto in circostanze tutte da chiarire: ma molti elementi comprovati fanno risalire le maggiori responsabilità al governo di Gerusalemme. Anzitutto il fatto che l'assalto si sia svolto in acque internazionali. Israele ha ogni diritto di far rispettare i propri confini ed eventualmente di ricacciare, anche con la forza delle armi, chi tenta di violarli. Ma nell'episodio cruento di ieri notte appare bennetto che se pure era nelle loro intenzioni, gli attivisti non li avevano violati. Volevano sicuramente forzare il blocco ma si sono scontrati con la reazione dei militari. Un reazione eccessiva, che appartiene purtroppo a un modo di concepire l'autodifesa ed ha molti precedenti, inclusi i bombardamenti dei quartieri civili di Gaza a suo tempo condannati dall'intero Occidente. E' logico che di fronte a una pagina così macchiata di sangue le colpe non siano soltanto da una parte. E così è altrettanto ovvio che assaliti e assalitori si scambino accuse e controaccuse. Lo Stato Maggiore israeliano parla di una risposta legittima dei suoi soldati ad un attacco dei filo-palestinesi durante la perquisizione operata in alto mare: attacco, dice Gerusalemme, con strumenti offensivi, al quale s'è reagito con le regole e i metodi dell'antisommossa: cioè sparatorie indiscriminate che hanno ucciso almeno 10 persone e ferito almeno 25. Suonano strane le dichiarazioni del portavoce dell'esercito israliano secondo cui era stato racomandato ai militari di non cedere alle provocazioni" ma a volte la vita è complicata": nel senso che le violenze dei 700 attivisti, con il loro "carattere terroristico" hanno costretto ad aprire il fuoco contro di essi. Un massacro che poteva e doveva essere evitato, tale da turbare anche chi ha sempre guardato con spirito solidale alle difficoltà di Israele, ai suoi problemi di convivenza con il popolo palestinese spesso manipolato da Hamas nemico della pace. Ma la solidarietà, in casi gravi come questo, deve essere sospesa. La versione fornita dal governo israeliano non convince del tutto, quando sostiene che a bordo delle navi della cosidetta Flotta della Libertà non vi erano solo aiuti umanitari ma anche materiale bellico. Poiché una delle navi era partite dal porto turco di Antalya, l'accusa è che fossero stati estremisti turchi a nasconderle a bordo per passarle poi ai fedayin palestinesi. La smentita del governo di Ankara, sino a ieri grande amico di Israele, è secca e prelude ad una rottura dei rapporti tra i due paesi. Le reazioni mondiali sono uniformi: sdegno, proteste, condanna, convocazioni di ambasciatori israeliani in molte capitali, richiesta di una riunione d'urgenza della Lega Araba, del Consiglio di Sicurezza, deplorazione del Vaticano, convocazione del Consiglio di Sicurezza dell' Onu, richiesta di spiegazioni da parte del governo italiano. Il premier Netanyahu doveva incontrarsi oggi con il presidente Obama ma è stato costretto a rinunciare. Ora è veramente con le spalle al muro.

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