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Crisi, per i sindacati è il momento di cambiare

È giunto il tempo della «condivisione». È questo il messaggio arrivato ieri dal presidente della Confindustria Emma Marcegaglia nel corso dell'assemblea annuale. Bisogna «unire le forze» perché «la lenta crescita è per noi la vera emergenza nazionale». Un appello rivolto a tutti i protagonisti della vita sociale. Primi fra tutti i sindacati ai quali il capo degli industriali propone di celebrare, entro l'estate una grande assise dell'Italia delle imprese e del lavoro. Al centro del dibattito ci dovrebbe essere la crescita. L'ultimo anno e mezzo è stato durissimo. Il bilancio della crisi molto pesante: rispetto ai picchi del primo trimestre 2008 l'Italia ha perso quasi sette punti di Pil e oltre 700 mila posti di lavoro. Il ricorso alla cassa integrazione guadagni è aumentato di sei volte. Cifre da far rabbrividire. Non solo. La produzione industriale è crollata del 25 per cento tornando ai livelli di fine 1985: 100 trimestri bruciati. Tuttavia ora c'è la possibilità del riscatto. È in corso un rimbalzo della produzione del 7 per cento annuo che potrebbe anche risultare superiore alle attese. Ma su questo recupero gravano le incognite della crisi europea in atto e i ritardi dell'Italia. Per cogliere l'occasione è necessario un grande sforzo nell'interesse del Paese. Serve una maggiore produttività unita a più salario, a occupazione aggiuntiva, a nuovi ammortizzatori sociali che diano più dinamismo all'impresa e tutelino i lavoratori. La flessibilità, ha ricordato la Marcegaglia, ha consentito tra il 1997 e il 2007 di accrescere di oltre 5 punti il tasso di occupazione. Ma restiamo di 8,5 punti sotto la media Ocse, di 11,5 punti sotto la Germania. Questo è il punto. Per agganciare la crisi bisogna lavorare di più e in maniera più efficiente. Alla fine ne guadagnerebbero tutti: le imprese sotto forma di maggiore redditività per fare gli investimenti, il sistema economico perché più dinamico e gli stessi lavoratori che potrebbero finalmente irrobustire la loro busta paga. Questo, però, significa rompere con il passato: con l'idolatria dei contratti nazionali, con l'immutabilità dell'attuale legislazione (per esempio lo Statuto dei Lavoratori), con i privilegi legati al posto fisso: da una parte i bramini che godono di tutte le garanzie (pubblico impiego, grandi aziende) e dall'altra i disperati che hanno tutele decrescenti. È il momento di cambiare. Il sindacato avrà la forza di fare questo salto? «Tutti i grandi cambiamenti sono semplici» scriveva Ezra Pound. Per tutti, probabilmente, tranne che per alcune componenti radicali del sindacalismo italiano.

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