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Anche il boss Raccuglia comunicava coi pizzini

Gli investigatori, grazie pure alle indicazioni di alcuni pentiti, hanno ricostruito lo smistamento dei messaggi scritti su carta

PALERMO.  E' ancora una volta la rete dei pizzini la chiave per la cattura di un boss latitante. Una circostanza confermata nell'ultima indagine della Mobile di Palermo e dello Sco che, il 13 novembre scorso misero fine alla lunga latitanza del capomafia di Altofonte Mimmo Raccuglia.    
A distanza di 6 mesi dall'arresto di uno dei superstiti dell'ala stragista di Cosa nostra la polizia ha notificato 7 ordinanze di custodia cautelare in carcere ai "postini del boss".    
La ricostruzione della rete dei pizzini, come ha spiegato durante la conferenza stampa in cui è stata illustrata l'operazione il capo della Mobile Maurizio Calvino, è partita da un personaggio chiave dell'inchiesta: l'imprenditore di Altofonte Mario Tafuri, titolare della ditta Com Edil, figlio di un capomafia della zona. Anche grazie alle indicazioni di alcuni pentiti gli investigatori hanno ritenuto che potesse avere contatti con Raccuglia. Seguendolo, intercettandolo e tenendolo costantemente sotto controllo gli agenti ne hanno individuato chiaramente il ruolo e i complici nello smistamento dei bigliettini indirizzati e provenienti da Raccuglia.    
Da Tafuri, in un complicato e cauto sistema organizzativo, i biglietti passavano a Giuseppe Campanella, dipendente del comune di Salaparuta, anche lui arrestato. I sacchi con la corrispondenza facevano su e giù lungo la strada Palermo-Sciacca passando nelle mani di altri personaggi come Girolamo Liotta e giungevano, dopo un lunghissimo giro, a Raccuglia.    
"I sette arrestati - ha detto il questore di Palermo Alessandro Marangoni - hanno in questo modo assicurato la sopravvivenza di un latitante pericolosissimo".

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