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Lo scontro Fini-Berlusconi e l'incognita sud

Alle sinistre uscite malconce dalle elezioni amministrative l’aspro confronto Fini- Berlusconi pare un dono del cielo e sperano che l’avversario si elimini da sé, per il gioco combinato delle forze interne contrapposte. Probabilmente un simile sogno è azzardoso, ma è innegabile che il centrodestra stia attraversando uno dei momenti più difficili, che appanna la prospettiva del partito unitario dei moderati.
Il presidente della Camera contesta all’uomo di Arcore di di essersi troppo allineato alle posizioni della Lega, in un asse privilegiato con Bossi che toglierebbe credibilità al Pd sul piano nazionale.
Il dente che duole è quello del Mezzogiorno, dove le strutture di quella che era An sono radicate e attive. E se gli elettori meridionali si sentissero trascurati o abbandonati, cosa potrebbe succedere alle prossime elezioni? La questione esiste, ma la drammatizzazione imposta da Fini è fallace, oltre che inopportuna. I riguardi usati dal premier alla Lega non sono il frutto di una scelta arbitraria, costituiscono la presa d’atto, da parte del capo della coalizione, di un innegabile successo elettorale del movimento di Umberto Bossi. La politica ha le sue leggi.
I finiani impugnano come una clava la questione meridionale, dicono di essere contro l’assistenzialismo e la sociologica piagnona, ma non sono un grado di offrire un solo esempio di ravvedimento operoso che giunga dalle terre del Sud.
La questione meridionale esiste, ma c’è, imponente, anche una questione settentrionale. Di quelle regioni che oggettivamente sono la locomotiva del Paese e non sopportano più uno sperpero di denaro che nel Mezzogiorno non dà frutti. Di che cosa vogliamo parlare? Della sanità di quelle regioni d’Italia che sistematicamente inviano i loro malati al Nord e tuttavia riescono a spendere più dell’efficiente Lombardia?
Non è Silvio Berlusconi che gonfia le vele di Bossi, sono le rilevazioni relative ai centri di spesa del Mezzogiorno.
A questo punto, più che una singolar tenzone fra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera, il contrasto di oggi evidenzia la necessità di un nuovo patto sociale e nazionale. Il Sud deve voltare le spalle al passato assistenzialista e le sue amministrazioni locali, dalle regioni ai comuni, debbono dimostrare un nuovo impegno per il contenimento delle spese e la crescita dell’efficienza. Debbono dimostrare che è possibile movimentare le risorse dei territori, abbandonando l’assistenzialismo e il clientelismo. Gli ultimi vanno aiutati e sostenuti, ma nella trasparenza, senza scorciatoie che favoriscono le mafie.
Anche il Nord deve fare la sua parte, in un quadro di solidarietà che non trascuri bisogni e speranze. D’altra parte, tutti gli economisti lungimiranti sanno che se non cresce il Sud, il Nord non cresce nella misura auspicabile e necessaria.
In questo quadro, Nord e Sud sono avversari complementari e necessari, non ha senso soffiare su un contrasto che non giova a nessuno. E tuttavia, la mossa di Fini ha qualcosa di vecchio e di stantio. Non è detto che la formazione di gruppi autonomi alla Camera e al Senato favorisca il ravvedimento e il cambiamento delle amministrazioni meridionali. Gli eredi di An, grazie al radicamento e alla rilevante presenza nel Mezzogiorno, dovrebbero favorire un’autentica rivoluzione politica e culturale, perché il Mezzogiorno rinasca e non si limiti a sopravvivere.
Il resto è una questione di primazia, di potere che gli italiani, in questa fase di crisi senza precedenti, non capirebbero.

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