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Mafia, processo clan Villabate: reato prescritto per Marussig

Il processo ruota attorno al progetto di realizzazione di un ipermercato. Secondo gli inquirenti, l'imprenditore romano, interessato alla costruzione del centro commerciale, avrebbe stretto un patto con la cosca capeggiata dal boss Nicola Mandalà, uomo del capomafia Bernardo Provenzano

PALERMO. La corte d'appello di Palermo ha riformato la sentenza emessa in primo grado al processo sui rapporti tra imprenditoria, politica e la cosca mafiosa di Villabate. Dopo una lunga camera di consiglio, i magistrati hanno dichiarato prescritte le accuse a carico dell'imprenditore romano Francesco Paolo Marussig e del socio Giuseppe Daghino e hanno assolto l'ex sindaco di Catania Francesco Lo Presti. Confermate le pene inflitte agli altri quattro imputati tra i quali l'ex sindaco di Villabate Lorenzo Carandino, accusato di concorso in associazione mafiosa, e condannato a otto anni e sei mesi di carcere. Daghino, difeso dall'avvocato Fabio Lanfranca, era imputato di corruzione semplice e il reato si è prescritto; a Marussig, assistito dall'avvocato Enrico Sanseverino, invece, era stata contestata la corruzione aggravata dall'avere favorito Cosa nostra. La corte, però, ha escluso l'aggravante: valutazione che ha determinato la prescrizione. L'ex sindaco di Catania era imputato di riciclaggio.  Il processo ruota attorno al progetto di realizzazione di un ipermercato a Villabate. Secondo gli inquirenti, l'imprenditore romano, interessato alla costruzione del centro commerciale, avrebbe stretto un patto con la cosca capeggiata dal boss Nicola Mandalà, uomo del capomafia Bernardo Provenzano. La mafia avrebbe assicurato il consenso alla vendita dei proprietari dei terreni su cui sarebbe dovuta sorgere la struttura e le necessarie modifiche del piano regolatore comunale grazie ai contatti strettissimi tra Mandalà e l'allora sindaco Lorenzo Carandino. In cambio le cosche avrebbero ottenuto la scelta del 30% delle ditte che avrebbero dovuto eseguire i lavori e gestire i negozi dell'ipermercato e l'imposizione del 20% dei dipendenti da assumere. Marussig era stato condannato in primo grado a 7 anni, Daghino a 4 e Lo Presti a 4 e sei mesi.  Secondo l'accusa, a mediare il rapporto tra il clan e la Asset, che aveva il compito di sviluppare il progetto, sarebbero stati, tra gli altri, gli architetti Rocco Aluzzo e Antonio Borsellino, condannati rispettivamente a 8 e 7 anni, (pene confermate), per concorso in associazione mafiosa. Un ruolo importante nell'affare avrebbe avuto poi Giovanni La Mantia, esponente del clan di Villabate a cui la corte ha ribadito la condanna a 10 anni per associazione mafiosa. Per ottenere l'appoggio presso l'amministrazione locale, infine, l'impresa si sarebbe impegnata a versare una tangente di 300 milioni di vecchie lire. Solo una parte, 25mila euro, della somma, però, sarebbe stata versata. Il collettore della tangente sarebbe stato Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale, poi consulente del sindaco Carandino che, dopo l'arresto, ha scelto di collaborare con la giustizia rivelando anche i retroscena dell'affare

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