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L'innovazione per una maggiore crescita

A che punto è la crisi economica mondiale? Il modello di sviluppo della nostra piccola Italia è ancora sostenibile? Provo a rispondere con i numeri. Essi ci rivelano che la violenza della crisi e le sue conseguenze sono ben più gravi e durature di quanto si possa oggi percepire. Specie se si guarda la struttura più forte dell'economia occidentale e al paese che, più di ogni altro, ha trainato il mondo in tutto il lungo arco temporale del secolo trascorso. Negli Stati Uniti, prima Bush poi Obama, hanno investito una colossale somma di denaro pubblico per salvare il sistema finanziario dal fallimento, ma il costo del salvataggio sembra davvero disastroso se si guarda alle previsioni dei prossimi dieci anni. Il debito pubblico americano sarà stabilmente superiore al 110% del Pil ed è attualmente impossibile stimare quando sarà plausibile riportare in pareggio il disavanzo pubblico, se si considera il crescente peso degli interessi sul debito. Il deficit pubblico sarà pari, alla fine di quest'anno, a circa l'11% del Pil. Se si guarda alla storia americana nel secolo trascorso questa percentuale è stata superata soltanto all'indomani della prima (16,9%) e della seconda (30,3%) guerra mondiale. Dopo la grande crisi del '29, il deficit è stato pari alla metà di quello che il governo americano dovrà gestire nei prossimi anni. Gli Stati Uniti condividono questa difficile situazione con le più importanti economie dell'occidente. Nell'area del G7 il debito pubblico era mediamente pari al 35-40% del Pil negli anni 70, per poi salire intorno al 70% dal 90 al 2000. Dal 2007 al 2014 le migliori previsioni sanciscono una forte impennata che porterà il debito dal 76% al 109% del Pil. Per la prima volta nella storia i CDS (credito default swap) mettono in evidenza che sarà più costoso assicurare il debito pubblico dei paesi dell'Europa Occidentale di quanto lo sia assicurare le obbligazioni delle grandi imprese multinazionali. Nello stesso tempo l'aggregato Cina-India evidenzia che nei prossimi quattro anni il debito pubblico di questi due paesi scenderà dal 38% al 35% del Pil. Tremonti sostiene che quando il debito pubblico è controbilanciato da un elevato risparmio delle famiglie, la crescita degli investimenti è assicurata dal settore privato. I numeri smentiscono questo convincimento. Nei paesi del G7 il risparmio delle famiglie è sceso mediamente negli ultimi 20 anni dal 22% al 18% del Pil. Un'ulteriore diminuzione, fino al 16%, è stimata per la fine del 2015. Per contro, il credito alle famiglie è cresciuto dal 40% al 60% del Pil dal 1990 al 2008. Negli Stati Uniti questo dato è ormai fuori controllo e si accinge a sfiorare un ammontare pari al doppio del prodotto interno lordo. Del resto negli USA circolano circa 4500 carte di credito ogni mille abitanti e la cifra dei debiti ipotecari è pari a tre quarti del Pil. Fa rabbrividire il confronto con le economie emergenti (Cina, India e Messico) dove le carte di credito non superano le venti unità per mille abitanti e i debiti ipotecari sono appena il 9% del PIL. Come insegna la storia della nostra piccola Italia negli ultimi vent'anni, un debito pubblico crescente è un peso che indebolisce la crescita economica fino a soffocarla. In pari tempo il debito alimenta il demone gemello che sempre ne accompagna il cammino, denominato premio per il rischio. Il valore di questa variabile aumenta al crescere del debito e rende più elevato il costo del capitale che misura il ritorno degli investimenti. Ne consegue che le preferenze marginali degli investitori tendono a concentrarsi nei paesi dove i premi più bassi consentono, a parità delle altre condizioni, rendimenti più elevati e più vicini nel tempo. Nei paesi emergenti, e in Cina soprattutto, vi sono tutte le condizioni per una vigorosa crescita della domanda interna, del tasso di investimento e della creazione di valore. Come tra due poli contrapposti, le onde dell'energia trasferiscono risorse umane pregiate e capitali dall'occidente all'oriente. I più avveduti economisti statunitensi, amano, a differenza degli europei, anche le statistiche sull'età media della popolazione e illuminano con sempre maggiore preoccupazione la crescente distanza tra i dati dell'occidente post industriale e quelli dei paesi emergenti.  Si chiedono se i paesi più vecchi, più indebitati e meno capaci di crescere potranno mantenere a lungo una leader-ship sui loro giovani e intraprendenti creditori.  L'Italia, quanto a età media della popolazione, è uno dei paesi più "vecchi" del mondo e, tenuto conto del debito, non può affidare la propria crescita alla domanda interna, come avviene da almeno vent'anni. Per competere deve fare una scelta radicale: mitigare l'uscita dal mercato delle produzioni senza futuro con interventi consistenti di sostegno e di riqualificazione dei lavoratori; sostenere con risorse altrettanto ingenti e interventi fortemente innovativi i settori al alto valore aggiunto che esportano con successo. Stare in mezzo al guado troppo a lungo, come sta accadendo, è l'errore più grave.

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