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Moda ecosostenibile, anche le griffe cedono al suo fascino

L'equo-a-porter raccoglie sempre maggiori consensi ed è arrivato a contagiare persino la gioielleria. Tra fiere e siti web specializzati impazza la mania del lusso "politically correct"

Roma. La moda ecosostenibile, quella che si ottiene con materiali di riciclo, quella che utilizza prodotti della natura, ma anche quella che viene prodotta artigianalmente in paesi bisognosi, creando lavoro dove non c'é, sta raccogliendo sempre maggiore attenzione dalle griffe e dagli operatori del fashion system. L'equo-a-porter è arrivato a contagiare perfino la gioielleria, come dimostra la decisione di Tiffany che ha scelto d'impegnarsi ad usare gemme tramite soluzioni socialmente responsabili. E Bulgari che dice no alle miniere della Birmania per evitare di utilizzare i "diamanti insanguinati". Sul web è nato addirittura Ecojewel.it, il gioiello del cambiamento e del lusso ecosostenibile. La moda politically correct si è organizzata anche in fiere. A Milano si svolge infatti in questi giorni la seconda edizione del salone "Fa la cosa giusta!", che quest'anno raccoglie oltre 620 espositori di abbigliamento, tessile, pelletteria, che utilizzano materie prime eco sostenibili.
La moda etica ha cominciato a prendere piede nei primi anni del 2000. Ai contenuti giudicati effimeri della moda, come le rutilanti sfilate, il mito delle modelle, il business che dava e dà lavoro a milioni, forse a miliardi di persone nel mondo, è stato suggerito di aggiungere anche una mission etica: quella di salvare il pianeta dalla povertà e dalla pattumiera. Il consiglio è arrivato nel 2003 dall'Unep (Programma ambiente dell' Onu) che ha lanciato una campagna di supporto alla domanda di prodotti etici per influenzare l'industria globale dei negozi, dai fatturati di migliaia di miliardi di dollari, lanciando al contempo messaggi ambientali ad una nuova e influente audience, individuata nei giovani. In fondo, si chiedevano all'Unep, cos'é più alla moda che avere cura del nostro Pianeta vestendoci con la coscienza a posto? Il messaggio ha prodotto i suoi effetti. Ad esempio, nel 2003 Naj Oleari ha realizzato una serie di capi in maglia con la plastica riciclata. A Pitti Bimbo molte aziende hanno ripensato le loro collezioni in questa chiave e oggi sono numerosissime. Intanto la moda "buonista" ha mobilitato le grandi griffe per combattere malattie, povertà ed emergenze catastrofi. Nel 2005 i "Prodotti rossi", marchio lanciato dalla rockstar irlandese Bono e dal suo partner Bobby Shriver, erano destinati ad alimentare un fondo destinato alla lotta contro aids, malaria e tubercolosi, in partnership con Giorgio Armani, American Express, il gruppo Converse (calzature) e l'americano Gap (abbigliamento). Nella capitale intanto nasce Ethical Fashion, progetto di Alta Roma e Itc (Internazional trade centre), agenzia di cooperazione dell'Onu e Wto (World trade organization) che ha lo scopo di sostenere le popolazioni dei paesi in via di sviluppo. Sul web un anno fa è nato Yooxygen, progetto eco-friendly di yoox.com che ha previsto una nuova area dedicata a prodotti ecosostenibili con l'impegno ad azzerare le emissioni di Co2 prodotte dal servizio spedizioni, a sostegno di Green Cross International, organizzazione ambientalista fondata da Mikhail Gorbachev. Ne hanno fatto parte le collezioni di Carmina Campus, di Ilaria Venturini Fendi, che crea moda con materiali di riciclo, Katharine Hamnetti, antesignana del discorso negli anni '80 con le sue t-shirt in cotone organico, gli accessori di Stella McCartney, le scarpe Camper in fibra di cocco e iuta, i jeans Levi's in cotone organico e denim riciclato.

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