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Le crepe del voto all'estero

Il «caso Di Girolamo» è solo la punta di un iceberg. Speriamo che questo scandalo serva a farci riflettere sulle troppe crepe della legge sul voto all'estero. Che si tratti di uno scandalo non credo che vi siano ormai dubbi. È sufficiente ricordare che il 20 ottobre 1998 la Giunta per le elezioni del Senato aveva annullato l'elezione di questo chiacchierato senatore, non tanto per i suoi presunti collegamenti con la camorra e la 'ndrangheta, ma semplicemente perché risultava falsa la sua residenza in Belgio. Ma, con un espediente procedurale, la decisione non venne approvata e neppure respinta, ma sospesa. In tal modo Di Girolamo ha potuto proseguire il suo mandato per altri 16 mesi. E se non ci fosse stata la pubblicazione delle intercettazioni e il deciso intervento del presidente Schifani, con la minaccia dell'espulsione, il «senatore» non si sarebbe mosso da palazzo Madama.

È ormai noto che quello di Di Girolamo non è l'unico caso, fra le assurdità della legge Tremaglia. Per la verità l'ex ministro, che si era battuto per anni, non prevedeva che il voto all'estero si potesse trasformare in un terreno di caccia per speculazioni e truffe inverosimili. Lo si è visto nella passata legislatura, dove tutti gli eletti sono andati alla sinistra e rappresentavano una stampella del governo Prodi. Anche in quel caso si disse che diversi parlamentari non erano stati eletti correttamente e comunque diversi «ricattavano», senza troppi scrupoli, la maggioranza, chiedendo sostegni economici per questa o quella comunità di italiani all'estero, nelle forme più strane e anomale.
In questa legislatura gli eletti all'estero non sono più determinanti e quindi non se ne parla. A meno che non venga fuori un caso eclatante, come Di Girolamo. Ma oggi appare necessario mettere mano, senza aspettare la vigilia delle elezioni politiche, alla riforma del voto all'estero. Come ha ribadito anche il presidente del Senato, Renato Schifani, «la legge va cambiata, perché il voto per corrispondenza è uno scandalo e consente tipologie di attività illecite come l'acquisizione del voto, addirittura pagandolo».
Bisognerebbe però riflettere sulla opportunità, non tanto di modificare, ma di abolire quasi del tutto una legge che si è rivelata dispendiosa, inutile e persino dannosa per le istituzioni rappresentative della nostra repubblica. Si potrebbe forse consentire la partecipazione alle elezioni politiche (ma forse anche alle amministrative) solo ai quei cittadini, regolarmente registrati nelle ambasciate, che si trovano all'estero, per motivi di studio e di lavoro, per un periodo non superiore a tre anni. Questi elettori potrebbero votare solo candidati delle circoscrizioni regionali di provenienza. Non crediamo infatti abbia alcun senso, concedere il diritto di voto a un cittadino italiano che vive da trent'anni e più all'estero, dove lavora e paga le tasse (e che conosce quasi sempre ben poco dell'Italia), addirittura facendogli eleggere propri rappresentanti in parlamento. Forse,nella prospettiva di dimezzare il numero dei nostri deputati e senatori, il primo taglio potrebbe essere attuato in questa direzione.  Siamo convinti che il primo a condividere questa scelta sia proprio Mirko Tremaglia, il padre dell'attuale legge.

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