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Programmi, è ancora silenzio assoluto

Il 28 e 29 marzo si voterà per rinnovare i consigli di 13 regioni. Abbiamo assistito (e non è ancora finita) a una rumorosa baraonda di candidature per le presidenze, a scontri violentissimi tra le diverse fazioni del pd e degli altri settori della sinistra. Tensioni non sono mancati neppure nel centro destra (i casi Basilicata e Puglia sono solo un esempio). Si era pensato che, almeno a sinistra, il problema si potesse risolvere con le primarie, ma si è visto che quel principio (peraltro previsto dello Statuto del pd) non è stato applicato (vedi il caso di Emma Bonino nel Lazio) o messo in atto troppo frettolosamente, con errori che tutti ora riconoscono (Puglia). Rimangono tanti "buchi neri" (come le candidature alla regione Emilia Romagna) e assisteremo ancora a molti colpi di scena. Le tensioni che abbiamo conosciuto hanno contribuito sensibilmente ad accrescere la sfiducia dell'elettorato nella politica ed anche nelle istituzioni regionali,che pure un tempo erano ritenute la "grande speranza" di una futura Italia federale,un modello di decentramento della Stato centrale. I fatti hanno però, purtroppo, smentito tutto questo. E non solo per le inchieste della magistratura (dal "caso Del Turco", a quello Marrazzo e a quelli in corso in Calabria, Puglia, Campania e altre regioni). Infatti, il can can delle candidature è stato caratterizzato da lotte, tensioni, scontri all'interno o fra lobbies di schieramenti politici. Non c'è stato, invece, un confronto sui programmi (qualcuno li ha visti?), sulle "squadre" di uomini che andranno a dirigere i governi regionali e, in generale, su proposte politiche realmente alternative.. Silenzio assoluto. Si parlerà dei nodi, politici e sociali, nelle regioni solo alla vigilia delle elezioni o magari dopo? A differenza del passato, infatti, sembra che ogni problema delicato venga volutamente ignorato, per "non creare problemi", per non alimentare divisioni che "potrebbero nuocere", nel senso che non si deve rischiare di perdere voti (il nucleare è solo un esempio).
Nel frattempo però sono stati resi noti i dati sugli stipendi dei presidenti, assessori, presidenti di commissione e consiglieri regionali. Ed anche le "indennità di fine mandato" e il vitalizio. È meglio che non li vedete, vi indignereste moltissimo. Sappiate solo che si può andare in pensione dopo appena cinque anni di consigliere, in taluni casi solo dopo un anno percependo dal 30 al 90% della retribuzione (che si aggira da 7.103 dell'Umbria agli oltre 10 mila dell'Emilia Romagna, del Veneto e della Liguria, a più di 12 mila euro di Campania, Piemonte, Lombardia, Puglia agli oltre 13 mila della Calabria). Le “differenze” di trattamento non sono in alcun modo attribuibili ai colori politici delle regioni, né alla loro collocazione geografica. E questo vale anche per le cifre sulle indennità o "contributi per il reinserimento" degli ex consiglieri (che variano dalle 60 mila ad oltre 100 mila euro) e per i "vitalizi". Nessun consigliere, a quanto ci risulta, ha mai presentato una proposta di legge per ridurre sensibilmente questi emolumenti che talvolta possono superare persino quelle dei parlamentari nazionali. Ora però per le regioni si prospetta la vera sfida del federalismo fiscale, quando cioè queste istituzioni avranno la totale responsabilità del gettito e della spesa. C'è solo da augurarsi che i Faraoni e le caste politiche non preparino un'altra operazione gattopardesca per difendere i propri privilegi.

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