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Piñera e la destra che non fa paura ai cileni

A volte le elezioni si vincono più per la stanchezza della gente nei riguardi del partito che lascia il potere, e si batte per restarvi, che non per il programma o l'affidabilità del partito avversario. È il caso del Cile dove il candidato di destra ha battuto il candidato di centrosinistra. Era infatti socialista la signora Michelle Bachelet, al governo dal 2006 ed è «cattolico democratico» (si direbbe in politichese italiano) Eduardo Frei che ha dovuto soccombere nella lotta contro il conservatore plurimiliardario Sebastian Piñera.
Fino a ieri in Cile la parola «destra» era impronunciabile. Proibita. Gravida di biechi significati. La destra politica ed economica aveva sostenuto il generale Pinochet e la sua brutale dittatura traendone lauti vantaggi. Ora è ritornata al comando dopo vent'anni. Ma non è la stessa destra. «Vi voglio riportare a tempi migliori per il Cile», ha detto il nuovo presidente nel suo primo discorso, davanti alla folla di Santiago, dove aveva fatto il pieno dei voti. Ed ha promesso riforme sociali incisive, la difesa dei diseredati, la creazione di un milione di posti di lavoro, la lotta contro la criminalità e i trafficanti di droga. Parole di sinistra: sembrava di sentire il suo avversario.
Piñera ha fama di essere un lavoratore instancabile, lo chiamano «la locomotiva». A 61 anni dispone di una fortuna valutata un miliardo e mezzo di dollari. Il mestiere del politico glielo ha insegnato il fratello Josè, già ministro, che faceva parte dei «Chicago boys», gli economisti ultraliberali autori del cosidetto miracolo cileno, ai tempi della dittatura.
Per molti, Piñera è il simbolo del successo. Delusi dalla lunghissima esperienza socialista, «logora e sfinita», pensano che occorra un manager più che un presidente: l'esatto contrario dello slogan con il quale lo sconfitto Frei iniziava i suoi comizi: «Non un manager ci serve» diceva Frei, «ma un presidente». I cileni hanno scelto il manager.
I primi denari Piñera li fece nel 1979 portando in Cile nel 1979 le carte di credito, un mercato di cui oggi egli detiene l'86 per cento delle azioni. Ha investito negli immobili, nelle farmacie, nelle cliniche. Controlla la compagnia aerea Lan Chile, un club di calcio, la potente tv Chile Vision.
In lui i cileni vedono una destra che non fa più paura. La sua carta vincente è di aver saputo smarcarsi dai conservatori tradizionali proponendosi come il rappresentante di una destra moderna, moderata, democratica. Ricordano che egli aveva invitato i compatrioti a votare «no» nel 1988 al referendum con cui Pinochet tentava di mantenersi al potere denunciando le violazioni del diritti dell'uomo.
Ora Piñera cita come modelli da emulare il conservatore messicano Felipe Calderon ma anche il progressista brasiliano Lula de Silva e la stessa presidente socialista Bachelet che lo ha preceduto al palazzo della Moneda e della quale non mette assolutamente in causa il modello economico, citato come esempio in America Latina.
Per lui hanno votato i borghesi benestanti, il ceto medio colpito dalla crisi e masse di poveri. A tutti ha promesso: «Con me troverete il futuro, il progresso, l'esperienza e la gioia. Io sono il motore del cambiamento».
Belle parole, persino troppo belle. Tanto da chiedersi se la sua vittoria non finirà per provocare un effetto-domino nel continente dove dall'Argentina alla Bolivia, dal Brasile al Venezuela all'Ecuador al Salvador a reggere i fili sono tutti militanti di sinistra.
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