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Fiat, si salvino i posti di lavoro ma senza pasticci

Scioperi, manifestazioni di piazza, ordini del giorno votati dall'Ars, pressioni sul governo perché intervenga prontamente. La recita in difesa dello stabilimento di Termini Imerese va in scena secondo il consueto copione. Da decenni eguale a ss stesso tutte le volte che si presenta una crisi aziendale. Quasi che un ordine del giorno, un volantino, uno sciopero potessero cambiare le cose. Non risulta che sia mai accaduto. Se la Fiat ha deciso di chiudere non è certamente per un capriccio. Il mutato scenario della competizione internazionale ha reso insostenibile il peso economico dell'officina. L'impianto siciliano non è mai stato un gioiello ma, in tempi di abbondanza, era un lusso che il Lingotto poteva permettersi. Adesso non più e non saranno le teatrate di questi giorni a cambiare le carte in tavola. Non sarà certo un decreto legge a restituire il pregio dell'efficienza e dell'economicità allo stabilimento. Né, come si comincia a dire da più parti, si possono addossare al Lingotto pregiudizi anti-meridionali. Intanto perché, ad eccezione di Mirafiori, tutte le fabbriche italiane del gruppo, sono collocate nell'area centro-meridionale del Paese. In secondo luogo perché, in genere il capitale non ragiona con il cuore ma con il portafoglio. Quindi indifferente ai pregiudizi.
A questo punto è chiaro che lo sguardo deve essere rivolto al futuro. Chiedere a Marchionne di tenere aperto l'impianto non serve assolutamente a nulla. Non è certo la blindatura del passato che salverà il reddito delle tremila famiglie che, direttamente o indirettamente, vivono con la ricchezza prodotta dallo stabilimento. Occorre fantasia impegno. Bisogna cercare una soluzione per domani. Non certo per ieri. Senza scorciatoie ma assumendosi, ognuno, fino in fondo le proprie responsabilità. Il sindacato facendo un salto di qualità che lo renda disponibile a nuove sfide. L'amministrazione regionale destinando le risorse necessarie al completamento delle infrastrutture dell'area. La classe politica nel suo complesso provando a disegnare un futuro all'altezza dei tempi. Senza perdere tempo nei rimpianti di un passato che non tornerà più. Avendo presente che il problema non è quello di salvare la Fiat di Termini Imerese. Casomai quello di conservare l'industria dell'auto nell'isola e il maggior numero possibile di posti di lavoro. Senza pasticci, però. Senza mettere a carico dello Stato, e quindi del contribuente, il costo del salvataggio. Naturalmente l’assistenza a chi ha perso il lavoro è doverosa. Ma deve essere assistenza, non un’avventura politico-industriale.

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