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Fiat, i soldi pubblici creano falsa occupazione

"Per mantenere a Termini i posti di lavoro oggi impegnati nello stabilimento Fiat, bisogna creare industrie in grado di produrre beni competitivi nei mercati nazionali e internazionali"

Per i prossimi due anni la Fiat investirà in Italia 8 miliardi di euro ma non c'è spazio per Termini Imerese. Anche Pomigliano è a rischio. Lo ha detto l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, durante l'incontro con il governo e i sindacati a Palazzo Chigi mettendo una pietra tombale sui due storici impianti nel Mezzogiorno: «Abbiamo un piano ambizioso per la Fiat soprattutto in Italia». Si salvano solo Melfi e Cassino. Anche Mirafiori esce ridimensionato.
Il top manager del Lingotto ha spiegato che «l'intenzione della Fiat è quella di conciliare i costi industriali e la responsabilità sociale». Purtroppo esiste una forte disparità dei livelli di utilizzo della manodopera tra stabilimenti auto italiani ed esteri. Termini Imerese è in fondo alla classifica dell'efficienza. Da qui la decisione di interrompere la produzione con la fine del 2011. L'impianto siciliano, infatti, è quello con la produttività più bassa in tutto l'universo del gruppo torinese. «Lo stabilimento è in perdita e la Fiat non può più permetterselo. Siamo disposti a discutere proposte di riconversione con la Regione Sicilia e con gruppi privati e a mettere a disposizione lo stabilimento».
Insomma Torino è pronta addirittura a regalare Termini. Però non vuole più sentirne parlare. Senza una logistica adeguata e senza indotto robusto è difficile andare avanti. Ci vuole un porto perché attualmente le auto partono da Catania. Ma soprattutto ci vuole un tessuto produttivo di contorno per evitare che il costoso turismo delle componenti tra la Sicilia e Melfi.
Qual è il futuro di Termini a questo punto? Sul tavolo ci sono diverse soluzioni. La più gettonata per conservare la produzione di auto riguarda la vettura elettrica. Lo stabilimento siciliano, adeguatamente ristrutturato e ridimensionato potrebbe diventare il laboratorio per la mobilità del futuro.
Certamente una sfida interessante. Tanto più che una fabbrica di auto non è soltanto un fatto economico. È soprattutto culturale perché diffonde sapienza industriale. È sociale perché crea forti legami che solo una fabbrica organizzata sa dare. Non sappiamo, però, quanto sia fondata questa soluzione dell'auto elettrica. In ogni caso il problema non è questo. Quello che conta è il deficit di produttività. È chiaro che, senza ricostituire condizioni accettabili di efficienza nessuna soluzione sarà possibile. Difficile pensare che i cinesi di Chery o gli indiani di Tata possano guardare con qualche attenzione all'officina palermitana. È vero che hanno bisogno di una base operativa in Europa. Non a qualsiasi prezzo, però. È forte il dubbio che, in questo momento, l'interesse maggiore riguardi i 400 milioni che Regione e ministero sono disposti a mettere a disposizione affinché l'officina di Termini continui a produrre auto.
È chiaro che il problema non si risolve così. I soldi pubblici, se verranno, dovranno servire, eventualmente, per finanziare la ricerca e lo sviluppo. Non possono essere la condizione per la sopravvivenza. Questa logica ha portato alla situazione attuale. La Fiat lamenta il fatto che ogni auto prodotta a Termini costa mille euro più che altrove. Il futuro, che tutti noi speriamo luminoso, dovrà basarsi sull'eliminazione di questo handicap. I contributi pubblici creano posti di carta velina. Termini, se sopravviverà, dovrà farlo con le proprie forze. È questo l’obiettivo da mettere al centro di ogni azione. Per mantenere a Termini i posti di lavoro oggi impegnati nello stabilimento Fiat, bisogna creare industrie in grado di produrre beni competitivi nei mercati nazionali e internazionali. Ogni altra strada sposterebbe a domani un problema che deve essere risolto oggi. Speriamo che questo sia il vero obiettivo condiviso da sindacati, istituzioni e aziende.
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