Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Enti locali, in Sicilia serve una riforma forte

“Parlare di cambiamenti per formazione, attività forestali, Ato rifiuti ha il gusto amaro dell'ennesimo rinvio senza fine”

Qualche giorno fa il  ministro degli interni, Maroni, ha "schiaffeggiato" la classe dirigente meridionale, quando ha affermato che i cittadini del Sud dovrebbero imparare a chiedere un lavoro con uno stipendio e non più un semplice stipendio senza lavoro! In questo (poco nobile) esercizio la Sicilia può vantare un primato che certo non è invidiabile. Per anni la risposta pressoché esclusiva che le Istituzioni hanno saputo dare alla domanda di lavoro proveniente dall’Isola è stata infatti quella di rimpinguare fino all’inverosimile il numero degli occupati nei ranghi della pubblica amministrazione.
Oggi il solo Comune di Palermo somma ai circa 5.500 dipendenti in organico altre dieci mila unità; a livello regionale viaggiamo tra 120 mila e 150 mila “occupati” a vario titolo. Questo tragico errore è maturato nella presunzione che nessuno avrebbe mai presentato il conto. In realtà i nodi sono invece venuti al pettine. Tra patti di stabilità, tagli dell'Ici e riduzioni dei trasferimenti statali il meccanismo ha finito con il mostrare la corda; domani con il federalismo fiscale sarà ancora peggio. Ormai non è più un problema di questo o quel comune; oggi il tema ha una dimensione regionale e, per quanto attiene alle possibili soluzioni, addirittura statale. L’uso distorto che spesso si è fatto dei fondi europei - che per loro natura dovrebbero andare solo agli investimenti - crea un problema non da poco per il futuro della Sicilia. È altamente improbabile, infatti, che la Regione Siciliana (che spende almeno due miliardi di euro all'anno in stipendi vari!) possa, esauritosi l'attuale dotazione di fondi europei, affrontare il problema con le sole proprie forze.
Questa drammatica situazione richiede un intervento statale, concordato con la Regione e programmato. Per cinquant'anni ha fatto comodo al sistema Paese che il Sud fosse soltanto una grande area di consumo. Oggi il mercato interno è stato scalzato dal mercato globale e l'opulento Nord non ha più interesse a trasferire risorse nel Mezzogiorno. Nasce per questo il federalismo fiscale: più soldi al Nord e meno per il Sud. Può anche andare bene. Ma c'è una questione da dirimere. È il ritardo impressionante nelle infrastrutture e la condizione di abbandono del Sud. La Sicilia potrebbe dare una risposta definitiva a questi problemi, con una politica seriamente e definitivamente votata allo sviluppo, puntando su una nuova classe dirigente, ma anche cercando nello Stato una sponda, non per nuovi trasferimenti senza vincolo di destinazione, ma per progetti seri di spesa e di investimento: dalla garanzia della sicurezza alle infrastrutture. Nel quadro attuale, in assenza di un intervento forte dall'interno (la Regione) e dall'esterno (lo Stato), parlare di riforma della formazione, delle attività forestali, degli Ato rifiuti, etc avrebbe il gusto amaro dell'ennesimo rinvio senza fine.

Caricamento commenti

Commenta la notizia