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Medio Oriente, “no a ripresa incondizionata dei negoziati”

Il negoziatore capo palestinese ha ribadito che l'Anp non si sposta dalla condizione di un totale congelamento di tutti i piani di edilizia negli insediamenti ebraici in Cisgiordania

Gerusalemme. Doccia fredda dell' Autorità nazionale palestinese (Anp) sugli sforzi degli Stati Uniti per riportare israeliani e palestinesi al tavolo dei negoziati di pace. L'Anp ha respinto l'appello del segretario di stato Usa Hllary Clinton per una ripresa dei negoziati senza condizioni preliminari.
Il negoziatore capo palestinese Saeb Erekat ha ribadito invece a chiare lettere che l'Anp non si sposta dalla condizione di un totale congelamento di tutti i piani di edilizia pubblica e privata negli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Israele ha solo accettato un congelamento di 10 mesi limitato a progetti di edilizia non ancora cominciati.
Erekat ha anche affermato che i negoziati dovranno ripartire dal punto in cui si erano interrotti nel dicembre del 2008, durante il precedente governo israeliano del premier Ehud Olmert. Ma appare difficile che le concessioni, a quanto pare senza precedenti, fatte allora da Olmert, possano essere adottate dall'attuale governo di destra di Benyamin Netanyahu. L'appello della signora Clinton, fatto a Washington in presenza del ministero degli esteri giordano Nasser Judeh, ha confermato le anticipazioni apparse alcuni giorni fa su media israeliani e arabi: i negoziati dovranno prima puntare a un accordo, entro un periodo prestabilito che potrebbe essere di nove mesi, sui confini di un costituendo stato di Palestina e sullo status di Gerusalemme per poi affrontare le altre questioni del contenzioso.
La logica alla base della proposta, hanno spiegato i due ministri, è che un'intesa su queste due questioni comporterà anche la soluzione di quella degli insediamenti che preoccupa i palestinesi. Una volta stabiliti i confini dello stato palestinese si saprà infatti se vi saranno aree di insediamenti che resteranno in mano di Israele nel contesto di un ventilato scambio di territori.
Gli Stati Uniti per venire incontro alle apprensioni delle due parti dovrebbero rilasciare lettere di garanzia dando ai palestinesi l'assicurazione che i confini del loro stato si baseranno su quelli armistiziali antecedenti il conflitto del 1967 e agli israeliani il riconoscimento che i cambiamenti demografici verificatisi in Cisgiordania dopo il 1967 dovranno essere presi in considerazione nel concordare il confine, lasciando così aperta la porta a eventuali limitate annessioni di insediamenti.
L'iniziativa americana appare concordata con paesi arabi moderati come l' Egitto e l' Arabia Saudita e tra alcuni giorni dovrebbe essere sottoposta a israeliani e palestinesi dall'inviato Usa George Mitchell, dopo un incontro con i rappresentanti del Quartetto (oltre a Usa, Ue, Russia e Onu).
Finora l' Autorità palestinese resta ferma sulle sue posizioni e anzi, secondo fonti informate, a Ramallah c'è grande collera con gli Stati Uniti, accusati perfino di "pugnalata alle spalle". Era stato infatti il presidente Usa Barak Obama a insistere per primo sul totale congelamento degli insediamenti - spingendo perciò i palestinesi su questa posizione - per poi retrocedere davanti al rifiuto israeliano e accontentarsi di un congelamento parziale, lasciando i palestinesi allo scoperto.
Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) afferma infine che da parte del premier Netanyahu non sono state sottoposte nuove idee al presidente egiziano Hosni Mubarak nell'incontro al Cairo circa due settimane fa. Il governo israeliano, dal canto suo, mostra crescente irritazione nei confronti di Abu Mazen per il proseguimento di una campagna di sovversione antisraeliana da parte dell' Anp.  

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