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Mo Yan e le sei reincarnazioni

Nell'ultimo romanzo dello scrittore asiatico, gli animali spettatori di cinquant’anni di trasformazioni sociali in Cina

Dopo aver letto “Le sei reincarnazioni di Ximen Nao” (Einaudi, 735 pp., 26 euro) non sarà più possibile guardare con gli stessi occhi un cane o un toro. E neppure una scimmia, un asino o un maiale. Mo Yan, che molti definiscono il più grande scrittore cinese vivente, trasforma e trasfigura nel suo ultimo romanzo quegli animali, rendendoli originali spettatori di cinquant’anni di tumultuose, radicali, drammatiche trasformazioni sociali in quel Paese asiatico.
Tra il 1950 e il 2000, la Storia s’intreccia con tante storie: Ximen Nao, ricco proprietario terriero, viene giustiziato dai suoi mezzadri alla vigilia della rivoluzione cinese ma dal re degli Inferi, Re Yama, gli viene concesso di rinascere tornando asino, toro, maiale, cane e scimmia nel suo villaggio. Solo al termine di questo “transito animale”, radicalmente trasformati valori e coordinate esistenziali grazie al “praticantato” da  quadrupede, gli sarà concesso di ridiventare uomo all’alba del nuovo millennio. Un’autentica rinascita dalle forti suggestioni che si carica di speranze e messaggi: “Non sono contro il progresso – aveva esclamato Mo Yan due anni fa, appena arrivato in Sicilia per un incontro con gli studenti dell’università Kore di Enna – ma vorrei che fosse meno impetuoso”.
Poco più che cinquantenne, autore di capolavori come “Sorgo rosso” del quale ha pure curato la sceneggiatura cinematografica,  Mo Yan – il cui vero nome è Guan Moye – interpreta la voglia di rilettura e analisi critica con la quale i cinesi stanno guardando indietro, a oltre mezzo secolo della Repubblica popolare fondata da Mao e dalle sue Guardie rosse. Lo scrittore descrive massacri e orrori di questi decenni ma ne offre un’interpretazione originale, lontana dalle stereotipate equazioni su democrazia e capitalismo. Come aveva già accennato nel corso di un’intervista, concessa al suo arrivo all’aeroporto di Catania: “La società cinese – aveva sottolineato l’intellettuale – è estremamente particolare e complessa. È un Paese di un miliardo e 300 milioni di abitanti, quindi temo che la Cina finirebbe nella confusione se la libertà da noi fosse quella dell'Occidente. Quando si parla di democrazia, bisogna tenere in conto che in Cina esiste un problema molto grosso di educazione e istruzione generale perché vi sono luoghi dove la cultura media è molto alta ma anche altri dov'è fortemente arretrata. Questa esigenza di democrazia, comunque, viene sentita e proposta in modo molto forte dagli intellettuali cinesi. La questione, peraltro, sta diventando sempre più centrale nel nostro Paese».
Mo Yan, dunque, scrive una sua particolarissima Storia patria del periodo 1950-2000. Soprattutto, però, firma altre esaltanti pagine di letteratura. “Le sei reincarnazioni di Ximen Nao”, infatti, è un testo di potenza epica e – anche grazie al lavoro di traduzione curato da Patrizia Liberati – dotato ancora una volta di una prosa spesso capace di volare tanto in alto da 'suonare' come poesia. Un altro bel libro di un grande autore che probabilmente sarebbe molto piaciuto a Italo Calvino perché “se il mondo è sempre più insensato, l’unica cosa che possiamo cercare di fare è dargli uno stile”.

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